giovedì 20 dicembre 2018
Nuovo caso che scuote la Chiesa Usa. Mentre i gesuiti del Paese fanno «mea culpa» sui religiosi colpevoli
La cattedrale di Nostra Signora degli Angeli a Los Angeles (Ansa)

La cattedrale di Nostra Signora degli Angeli a Los Angeles (Ansa)

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Non sembra avere fine nella Chiesa statunitense lo scandalo degli abusi sessuali. In un anno che ha visto deflagrare il caso degli abusi nelle diocesi della Pennsylvania e quelli dell’ex cardinale Theodor McCarrick, poi “dimissionato” dal collegio cardinalizio, ieri è arrivata la notizia che il Papa ha accettato la rinuncia da ausiliare di Los Angeles del vescovo Alexander Salazar.

Se la Sala Stampa vaticana non ha fornito ulteriori dettagli, è stato l’arcivescovo di Los Angeles, José Horacio Gómez, a spiegare in una lettera ai fedeli i contorni di una contorta vicenda che deve far riflettere. Al centro ci sono abusi sessuali che Salazar avrebbe commesso su un minorenne negli anni ’90, quando il presule, oggi 69enne, era un semplice parroco. Il fatto emerse nel 2002, non fu riportato direttamente all’arcidiocesi, ma fu oggetto di un’indagine da parte della magistratura di Los Angeles. Che però non procedette oltre. L’arcidiocesi ne venne ufficialmente a conoscenza nel 2005, quando arcivescovo era il cardinale Roger Mahony, e un anno dopo la nomina episcopale di Salazar. Fu allora che venne coinvolta la Congregazione per la dottrina della fede, che condusse a sua volta delle indagini e impose delle misure precauzionali al ministero di Salazar. Il quale rimase comunque vescovo ausiliare di una delle più popolose diocesi degli Stati Uniti. L’attuale arcivescovo Gómez ha fatto uscire lo scorso 6 dicembre un aggiornamento del «Rapporto al popolo di Dio», un dossier sui crimini a sfondo sessuale verificatisi nella Chiesa di Los Angeles e su quanto è stato e viene fatto per superare quella piaga, pubblicato nella sua prima edizione nel 2004. Ed è probabilmente in preparazione di questo “aggiornamento” che lo stesso Gómez ha deciso di riproporre il caso di Salazar al vaglio del comitato indipendente che monitora nell’arcidiocesi le denunce nei confronti di membri del clero. Il parere del comitato è stato che l’accusa nei confronti di Salazar era credibile e che il presule non avrebbe più dovuto esercitare il suo ministero. A quel punto sempre Gómez ha inviato il responso alla Santa Sede e si è arrivati all’annuncio di ieri. Salazar è figlio di immigrati del Costa Rica, è stato ordinato sacerdote a Los Angeles nel 1984 e fino a ieri era responsabile della pastorale per le minoranze etniche. Fin dall’inizio della vicenda si è dichiarato innocente. Negli anni non è stato fatto oggetto di altre denunce.

«Sono grato al Santo Padre per la sua amorevole preoccupazione per la famiglia di Dio qui nell’arcidiocesi di Los Angeles» ha scritto Gómez nella sua lettera aperta, «queste decisioni sono state prese avendo grandemente a cuore la guarigione e la riconciliazione delle vittime di abusi e per il bene della Chiesa e della sua missione».

Riconciliazione, giustizia e trasparenza sono anche i motivi che stanno spingendo le province dei gesuiti statunitensi a divulgare tutti i nomi dei religiosi colpevoli di abusi negli ultimi decenni. Lunedì scorso è toccato alla provincia del Midwest – che comprende come Stati Wyoming, Nord Dakota, Sud Dakota, Nebraska, Iowa, Minnesota, Wisconsin, Michigan, Indiana, Kentucky, Ohio e parte dell’Illinois – che ha rilasciare una lista di 65 gesuiti accusati in modo fondato di aver commesso abusi a partire dal 1955. Il provinciale padre Brian Paulson ha fatto sapere che il prossimo anno un ulteriore screening degli archivi della Compagnia di Gesù nel Midwest sarà condotto da un’agenzia investigativa indipendente basata a Chicago, invitando poi eventuali vittime rimaste nel silenzio a rivolgersi all’autorità giudiziaria o alla figura di Marjorie O’Dea, che dal 2008 dirige un ufficio per la protezione dei minori e l’ascolto delle vittime istituito dagli stessi gesuiti.

L’ascolto delle vittime e l’incontro personale con loro è tra l’altro un passo che è stato esplicitamente richiesto martedì dal Comitato organizzatore dell’incontro per la protezione dei minori nella Chiesa, convocato dal Papa dal 21 al 24 febbraio prossimi con i presidenti delle Conferenze episcopali del mondo (del comitato fa parte anche il cardinale statunitense, arcivescovo di Chicago, Blase Cupich). Un «modo concreto di porre le vittime in primo piano e riconoscere l’orrore di quanto accaduto » ha commentato il direttore della Sala Stampa vaticana Greg Burke.

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