martedì 30 settembre 2014
Monsignor Galantino: la scuola «riscopra la sua funzione educativa e la proposta educativa, da chiunque venga, abbia una sua identità». E l’Insegnamento della religione assicuri «un sano recupero della identità a tutti i livelli».
COMMENTA E CONDIVIDI

«Il vero, profondo senso ultimo dell'esperienza scolastica è quello di offrire uno spazio nel quale vivere percorsi per sperimentare e comprendere sempre meglio cosa voglia dire essere umani». È un’approfondita riflessione sul senso stesso del fare scuola oggi, e in essa dell’insegnare religione, quella che il segretario generale della Cei monsignor Nunzio Galantino ha offerto intervenendo a Vicenza a un’iniziativa nel corso della Settimana diocesana della scuola, dedicata a riflettere sul messaggio del Papa alla scuola italiana il 10 maggio in piazza San Pietro («Per educare un figlio ci vuole un villaggio»). «È davvero grave – ha aggiunto Galantino – quando la scuola diviene terreno di scontro tra diverse ideologie o interessi particolari, quando si smarrisce il rispetto per le persone (specie le più deboli), quando si svilisce la domanda di conoscenza». La «vocazione» della scuola è divenire «spazio di formazione a un’umanità vissuta a tutto tondo, a una vita buona, vera e bella; quando i diversi saperi disciplinari convergono nell'offrire agli studenti strumenti per comprendere questo nostro tempo così complesso, ma anche un orizzonte di sapienza che aiuti ad abitarlo in modo sensato, con uno stile di vita libero, coraggioso, delicato, sostenibile». La scuola – ha fatto notare il vescovo – «esiste, in primo luogo, per essere spazio di crescita nella conoscenza, sviluppando progressivamente un'apertura al reale nella varietà delle sue dimensioni». Quanto all’insegnamento della religione cattolica (Idr), Galantino ha osservato che oggi si colloca «in un contesto in cui la globalizzazione tende ad inghiottire tutte le differenze, suscitando per reazione la violenza cieca dei fondamentalismi». È in esso che l’Idr è chiamata a dare un «contributo prezioso ed assolutamente specifico». Obiettivo dell’Idr dev’essere «un sano recupero della identità a tutti i livelli: da quello personale a quello culturale». Due le ipotesi alternative tratteggiate da Galantino: «Trasformare l'Idr in studio di storia delle religioni», che «significa semplicemente intendere la scuola come un luogo in cui si deve trovare non tutto ma di tutto e dove scegliere quello che più aggrada». Ma «far studiare la storia delle religioni, mettendo queste tutte sullo stesso piano, sulla linea cioè di un falso universalismo, uccide l'identità». L’ipotesi sull’altro estremo è rappresentata dall’idea che «in un momento in cui il multiculturalismo rischia di trasformarsi in una potenziale disgregazione della nostra identità culturale, riducendo il nostro Paese a un mero contenitore e innescando il forte rischio di conflitti etnici e religiosi, non sia opportuno per tutti, anche per gli aderenti ad altre fedi, lo studio della religione cattolica (non il catechismo). Non per imporre l'adesione ad essa, ma per poter ottenere la conoscenza minima, da parte degli stranieri che vivono in Italia, delle nostre tradizioni». In un periodo nel quale «annegano le differenze e la personalità si frammenta nel gioco incessante delle esperienze», la scuola «bisogna che riscopra la sua funzione educativa e bisogna che la proposta educativa, da chiunque venga, abbia una sua identità precisa. Dal punto di vista pedagogico – ha detto ancora Galantino – è indispensabile che allo studente venga offerta una proposta da assumere come punto di riferimento e che, contestualmente, gli vengano offerti gli strumenti critici per testarne la validità». Il segretario della Cei ha anche contestato la diffusa idea secondo la quale l’insegnante debba essere fautore di «neutralità», scambiata per «onestà intellettuale»: «L'ermeneutica contemporanea ci ha fatto capire che la neutralità non esiste. Chi guarda i problemi li affronta inevitabilmente da un punto di vista». Emergono così anche i «limiti» dell'«atteggiamento di alcuni docenti cattolici che, troppe volte, sono invisibili, si mimetizzano fino al punto da essere irriconoscibili, non solo religiosamente, ma anche culturalmente. Magari in parrocchia fanno il catechismo e partecipano al consiglio parrocchiale. Ma, a scuola, credono loro dovere, in nome di una malintesa neutralità, appendere le loro idee all'attaccapanni».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: