venerdì 4 ottobre 2013
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Francesco. Si è capito subito, fin dal primo momento dopo l’annuncio, che non era solo un nome, ma un programma pastorale. La magna charta di un pontificato racchiusa in tre sillabe, che però per la storia della Chiesa valgono più dei volumi di un’intera biblioteca. Si è capito cioè che Papa Bergoglio, assumendo quel nome (coraggiosamente, perché nessun Pontefice aveva "osato" farlo prima di lui), stava indicando a se stesso e al mondo una direzione di marcia. E ora che dal 13 marzo sono passati quasi sette mesi sappiamo anche che sulla strada di san Francesco il Papa venuto «quasi dalla fine del mondo» si è incamminato con decisione. Oggi, tra l’altro, in senso anche letterale, dato che giunge ad Assisi nel giorno in cui la Chiesa fa memoria del Patrono d’Italia.Nel clima di raccoglimento della giornata di lutto nazionale per la tragedia di Lampedusa, la visita odierna infatti conferma e rilancia. Conferma quanto ha detto e fatto il Papa in questo primo scorcio del suo pontificato. Rilancia, perché – significativamente – Francesco porta con sé il "Consiglio dei cardinali" che devono aiutarlo nella riforma della Curia e nel governo della barca di Pietro. In sostanza è come se dicesse loro: "Venite con me a vedere la Chiesa come io la intendo". E come la intende, Jorge Maria Bergoglio l’ha fatto capire senza giri di parole fin dai primissimi giorni del suo ministero petrino. Il primo riferimento esplicito a san Francesco si trova infatti nel discorso ai giornalisti del 16 marzo, quando spiegò la scelta del nome: «Nell’elezione – raccontò – io avevo accanto a me l’arcivescovo emerito di San Paolo e anche prefetto emerito della Congregazione per il clero, il cardinale Claudio Hummes: un grande amico. Quando la cosa diveniva un po’ pericolosa, lui mi confortava. E quando i voti sono saliti a due terzi, viene l’applauso consueto, perché è stato eletto il Papa. E lui mi abbracciò, mi baciò e mi disse: "Non dimenticarti dei poveri!". E quella parola è entrata qui (il Papa si toccò la testa, ndr): i poveri, i poveri. Poi, subito, in relazione ai poveri ho pensato a Francesco d’Assisi. Poi, ho pensato alle guerre, mentre lo scrutinio proseguiva, fino a tutti i voti. E Francesco è l’uomo della pace. E così, è venuto il nome, nel mio cuore: Francesco d’Assisi. È per me l’uomo della povertà, l’uomo della pace, l’uomo che ama e custodisce il creato; in questo momento anche noi abbiamo con il creato una relazione non tanto buona, no? È l’uomo che ci dà questo spirito di pace, l’uomo povero... Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri». Ecco, dunque, la Chiesa di papa Bergoglio. E così la magna charta contenuta in quel nome ha cominciato a essere applicata. Tutti i giorni.Chiesa povera e per i poveri. Francesco non ha perso occasione per andare incontro agli ultimi. La lavanda dei piedi del Giovedì Santo a 12 ospiti del carcere minorile di Casal del Marmo, la visita alla favela di Varginha a Rio, l’incontro con i rifugiati del Centro Astalli di Roma, il viaggio-lampo a Lampedusa, la stessa visita di Cagliari (dove gli ultimi avevano le sembianze dei disoccupati) sono alcuni dei momenti più significativi di questa applicazione. Proprio a Cagliari il Papa ha ripetuto uno dei gesti più dirompenti di san Francesco, abbracciando un lebbroso. Già nel 2011 l’allora arcivescovo di Buenos Aires in riferimento alla figura di un grande francescano come san Bonaventura notava che anche quando Gregorio X gli concesse la porpora cardinalizia il frate teologo continuava ad andare in cucina e a lavare i piatti. Nei giorni scorsi, proprio alla vigilia del viaggio è tornato sull’argomento, raccomandando «umiltà, pazienza e mitezza» (cioè proprio le maggiori virtù francescane) anche ai cardinali che oggi l’accompagnano ad Assisi. Del Poverello di Assisi, poi, papa Bergoglio ha parlato in ogni occasione possibile. Il giorno della solenne inaugurazione del suo pontificato, lo citò ad esempio in relazione alla «vocazione del custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi». E anche quando non lo ha menzionato espressamente ne ha ripercorso l’esempio (il 7 settembre con la grande preghiera in piazza San Pietro per la pace in Siria). Soprattutto, però, ha tenuto a spiegare qual è il cuore di quella magna charta che sta promulgando con la sua infaticabile azione pastorale. Ai giovani a Rio ha ricordato le parole del Crocifisso al giovane Francesco («va e ripara la mia casa») sottolineando che non di una casa di mattoni si tratta, ma della Chiesa e che anche i giovani del terzo millennio possono e devono contribuire a quest’opera. Sempre a Rio, nell’ospedale che dell’Assisano porta il nome ha fatto notare che il momento in cui la conversione è diventata concreta nella vita del Santo è stato quando ha abbracciato un lebbroso. Quindi, ha concluso, «tutti dobbiamo abbracciare chi è nel bisogno».Chiesa povera e per i poveri, dunque. Ecco perché Francesco va oggi ad Assisi. Notava il direttore di Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro di essere rimasto colpito dalla semplicità dello studio del Pontefice. Pochi libri e pochi oggetti: un’icona di san Francesco, una statua della Vergine, un crocifisso e una statua di san Giuseppe. «La spiritualità di Bergoglio – scriveva il gesuita – è fatta di volti umani: Cristo, san Francesco, san Giuseppe, Maria». Guarda caso i volti in cui i poveri (e con essi un intero programma pastorale) maggiormente si identificano.
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