lunedì 6 maggio 2013
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Torinese purosangue, Ernesto Ferrero conosce bene la sua regione. E la sua città, che nei prossimi giorni si appresta a ricoprire ancora una volta un ruolo di rilevanza internazionale grazie al Salone del Libro di cui Ferrero – saggista apprezzato e importante scrittore d’invenzione – è da tempo direttore editoriale. «Le vecchie etichette, che sono diventate dei luoghi comuni, continuano a conservare un forte nucleo di verità», esordisce con pacatezza tutta pedemontana.A che cosa si riferisce?All’immagine, scontatissima, di Torino città laboratorio, quella stessa che cento anni fa ha dato vita alla grande industria automobilistica, al cinema, alla moda, e poi più tardi alla televisione. Liberata dalla cappa della monocultura industriale, Torino si è riposizionata (a fatica, a costi non lievi, certo) ritrovando un’inventiva solidamente basata sulle antiche virtù, metodo, rigore, tenacia, pazienza: insomma il passo lento e sicuro di chi va in montagna.Il laboratorio è ancora attivo, dunque?Sì, e per accorgersene basta un giro per Torino, che oggi è diventata una città bellissima. Con una brillante ristilizzazione (anche attraverso il ricupero di pezzi eccezionali, quali la Reggia di Venaria o Palazzo Madama, e l’invenzione del Museo del Cinema) si è guadagnata le tre stelle della guida Michelin. Merito anche di una sostanziale concordia istituzionale, che ha visto lavorare insieme amministrazioni di diverso colore politico. Qui l’ideologia astratta non ha mai attecchito.Un quadro decisamente ottimistico, il suo.I problemi sono tanti, come per tutti, ma anche stavolta Torino e il Piemonte ce la faranno. Esiste qui un microclima favorevole alla sperimentazione, a una progettualità capace di guardare lontano, proprio perché si nutre di solide radici culturali, di un tessuto fatto di università, fondazioni, biblioteche, case editrici, librerie e scrittori. Questa gente descritta come chiusa, introversa, sospettosa, un po’ anaffettiva, è in realtà curiosa dell’altro, aperta alle ibridazioni, ai bricolages culturali, linguistici e tecnici. Al suo modo un po’ nordico, tende a includere, non a escludere. Torino e il Piemonte custodiscono anche una preziosa eredità religiosa...Papa Francesco ha detto una cosa straordinaria, tra le tante che gli hanno valso immediatamente una entusiasta adesione popolare: che il pastore deve portare su di sé l’odore del suo gregge. E ha invocato il massimo rispetto per il mondo del lavoro. Credo che i pastori della Chiesa piemontese lo sappiano benissimo, sensibili interpreti della tradizione che risale alla stagione dei santi sociali. Penso in particolare all’arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia: di origini piemontesi e contadine, ha perfezionato il suo magistero nella pratica del fare concreto, nella solidarietà che si esprime in gesti d’amore appena dissimulati dal riserbo, ma caldi di un’attenzione minuta e costante, che non perde un solo dettaglio dell’essenza dei problemi e si studia come risolverli.
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