lunedì 6 maggio 2013
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​«Porteremo al Papa la grande tradizione di una terra che egli del resto conosce bene. Una tradizione di santità che ha unito l’amore a Dio e la centralità della fede in Cristo con la dimensione sociale, in special modo con l’attenzione ai poveri e ai sofferenti». Monsignor Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino e presidente della Conferenza episcopale piemontese, introduce così il discorso sulla visita ad limina dei vescovi della sua Regione in programma per domani e venerdì. E, accennando alle origini di Francesco, afferma: «Sarà come una festa di famiglia. Trovarsi insieme, richiamare le radici fondamentali della fede che la sua famiglia ha portato in Argentina e di cui lui poi si è nutrito. E naturalmente riflettere sulla realtà di oggi».E a proposito della situazione odierna, quali sono i problemi che maggiormente preoccupano i vescovi del Piemonte?Innanzitutto la scarsità di vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata, anche se non mancano segnali di speranza. In generale è in crisi anche la vocazione al matrimonio, perché tanti giovani oggi convivono senza sposarsi. E dunque c’è un forte impegno di tutte le diocesi in questo settore. Impegno verso una pastorale giovanile e della famiglia, oltre che delle vocazioni, perché una volta si diceva che la famiglia è il primo Seminario. Cresce però il numero dei diaconi, ma abbiamo bisogno soprattutto di sacerdoti.Storicamente il Piemonte ha visto il fiorire dei cosiddetti «santi sociali». Quanto resta della loro eredità, oggi?Resta una grande lezione di fedeltà a Dio e attenzione ai fratelli, che è tuttora patrimonio diffuso delle nostre Chiese. I santi sociali erano tali prima di tutto perché avevano fede e questa loro fede la esprimevano donandosi a tutti, specie ai più bisognosi. Anche oggi cerchiamo di seguire la stessa strada. E a questo proposito vorrei sottolineare che la formazione dei laici rimane una frontiera decisiva. Formazione sia per assumere ruoli di corresponsabilità all’interno della Chiesa, sia soprattutto per la testimonianza nel mondo, negli ambienti dell’università, del lavoro, del tempo libero e anche nella politica. Abbiamo avviato delle scuole di formazione socio-politica che stanno andando bene. E la richiesta è venuta dalla base, soprattutto dai giovani. Certamente un bel segno, anche perché i giovani, considerati da alcuni interlocutori difficili, se vengono coinvolti, sono una risorsa.Recentemente c’è stata l’ostensione televisiva della Sindone. A settembre Torino ospiterà la Settimana sociale. E adesso c’è questa visita ad limina. C’è un collegamento fra i tre eventi?Sicuramente. La Sindone richiama il nucleo fondamentale della nostra fede: passione, morte e risurrezione di Cristo, come ha ricordato papa Francesco nel suo messaggio. E questo ci rimanda alla nuova evangelizzazione, che è la grande sfida di tutta la Chiesa oggi. In sostanza dobbiamo chiederci: come si diventa cristiani oggi? Il rischio, infatti, è che ci impegniamo molto sulle cose da fare, senza coltivare le radici del nostro agire e cioè la fede in Gesù Cristo. Quindi la vicinanza dei tre eventi ci aiuterà a coniugare le ragioni del cielo con quelle della terra. Soprattutto la Settimana sociale ci permetterà di puntare i riflettori sulla famiglia, che è uno dei soggetti deboli della nostra società, ma anche la risorsa più importante. Anche da questo punto di vista i santi sociali ci hanno insegnato molto. E recentemente ne ho avuto conferma durante la visita pastorale.In che modo?Sono andato in un quartiere di Torino dove c’è il 75 per cento di immigrati, il 40 per cento dei quali musulmani o di altre religioni. Le parrocchie di quella zona hanno grande rispetto per chi non è cristiano, ma sono impegnate a dare la prova di una testimonianza che suscita domande. E durante la visita sono andato a trovare una vecchietta di 85 anni che viveva in una casa poverissima. Ma spessissimo venivano a bussare da lei gli immigrati. E allora ho chiesto: «Ma perché vengono a trovarla?». E lei mi ha risposto: «Io non posso dare niente, ma ho sempre una parola, un consiglio e gli parlo di Gesù». Ecco, era diventata un punto di riferimento.Quindi che lezione possiamo trarre?Nell’ultimo anno ho battezzato circa ottanta catecumeni, che hanno chiesto di diventare cristiani provenendo in gran parte da altre religioni. «Abbiamo deciso di diventare cristiani – mi hanno detto in molti – perché ci ha affascinato Gesù, ma anche perché abbiamo anche trovato dei testimoni, cioè delle persone che ci hanno mostrato come vivere il Vangelo».Che cosa si augura dunque come frutto della visita ad limina?Sarà sicuramente una grande gioia incontrare il Papa e prendere spunto dal suo agire. La sua testimonianza e il suo stile sono infatti un segno di grande speranza e uno stimolo a guardare avanti sulla strada della nuova evangelizzazione.
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