sabato 14 ottobre 2017
L'entusiasmo di essere sacerdote, l'impulso all'impegno sociale dei giovani, la riforma della Curia attuata nel segno di una vera collegialità: «Dobbiamo ritornare alla carità della politica»
Il vescovo Orazio Francesco Piazza circondato dall’affetto dei fedeli, in larga parte giovani

Il vescovo Orazio Francesco Piazza circondato dall’affetto dei fedeli, in larga parte giovani

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La collegialità come stile di governo. La lotta al male, che si vince «amplificando il bene». L’importanza della politica vissuta come alta forma di carità. Monsignor Orazio Francesco Piazza, 64 anni, dal 2013 vescovo di Sessa Aurunca, è un pastore che conosce l’importanza delle parole e sa guardare avanti. La sua è un’idea di Chiesa calata nella realtà quotidiana, modellata sull’eredità del Concilio Vaticano II, che crede nella cultura del dialogo. Non a caso uno dei primi gesti compiuti dopo l’ingresso è stato incontrare uno a uno tutti i consigli comunali della diocesi. «L’ho fatto per mostrare la mia affezione e disponibilità. Mi hanno ricevuto e abbiamo parlato insieme dei problemi di ogni comunità. Non penso sia possibile affrontare le questioni sociali senza la carità della politica, anche perché è specifica del cristiano laico la cura della città dell’uomo, da trasformare secondo il cuore di Cristo».

Non un impegno slegato dall’appartenenza ecclesiale, dunque, ma strettamente radicato nella sequela di Gesù. «Credo che vivere una buona comunione di Chiesa – spiega Piazza – serva a trasformare la società, a umanizzarla. E quindi se vogliamo la coesione sociale è importante che la Chiesa sia realtà di comunione. Anche perché coloro che la frequentano sono, ovviamente, cittadini». Di qui l’invito a vivere la realtà sociale quotidiana da protagonisti, senza inutili e sterili isolamenti. «Come diocesi abbiamo attivato un settore di formazione, un centro studi intitolato a Tommaso Moro per promuovere la sensibilità sociale soprattutto dei giovani, in particolare degli studenti liceali, ma non solo. C’è bisogno di riscoprire il valore delle istituzioni e del collegamento tra loro e con il territorio. Nessun problema si risolve da soli, soltanto insieme si può trovare qualche risposta».

È intitolata a san Tommaso Moro anche la festa che ogni anno premia il politico, l’istituzione che ha contribuito a rendere più leggera ed efficiente, più a misura d’uomo, la vita del territorio. «Regaliamo un’opera d’arte molto bella, che raffigura un’ala con un peso sopra. Premiamo chi si impegna a togliere il peso, per consentire all’ala di volare». E in questa zona del Mezzogiorno d’Italia i problemi che appesantiscono la vita, certo non mancano. A cominciare dalla crisi economica che, unita a un deficit strutturale di opportunità, si traduce in disoccupazione e lavoro precario, spingendo i giovani nelle braccia della criminalità, soprattutto quella legata alle scommesse, alla droga, alla prostituzione. Con, sullo sfondo, le sirene, l’arroganza della malavita organizzata. «Nei confronti dell’illegalità – continua il vescovo di Sessa Aurunca – non basta denunciare, bisogna anche promuovere. Alla denuncia che pure è necessaria occorre far corrispondere un’immediata azione di annuncio, dire qual è la direzione, riportando al centro il valore positivo per esempio della cittadinanza attiva, dell’appartenenza, della partecipazione al bene comune, alla giustizia, riproponendo il valore dell’educazione, dell’etica pubblica, del senso civico».

Uno dei frutti di questo impegno è l’associazione “Al di là dei sogni” che si occupa del riutilizzo dei terreni confiscati alla camorra. Ma, più in profondità, il lavoro è di tipo prettamente educativo, chiama in causa la scuola e, soprattutto la famiglia come luogo, anche, di formazione alla socialità, «alimentata da una chiara visione della dimensione comunitaria del Vangelo». Temi, prospettive, che stanno puntellando la visita pastorale, il viaggio nelle viscere della diocesi che Piazza sta portando avanti a partire da un tema che è un autentico programma di vita: “Amore domanda amore”. «Un’esperienza di Chiesa molto forte che offre a tanta gente la possibilità di conoscere il vescovo più da vicino. Io la sta vivendo da prete, confessando, abitando con il parroco, condividendo la sua quotidianità e caricandomi dei problemi della comunità. Vado a trovare le persone dove vivono e sul posto di lavoro, in campagna, nelle fabbriche, nei luoghi della loro esistenza. Uno dei punti forti è andare dai malati. E poi l’incontro con le istituzioni, il mondo della scuola, le forze dell’ordine. La visita pastorale è una sorta di abbraccio, è guardarsi negli occhi reciprocamente». Un viaggio “dentro” la diocesi che è anche occasione per sollecitare l’attenzione di tutti, per mettere insieme le forze, per rispondere ai gravi problemi del territorio. E per condividere l’azione di riforma della Curia.

Un cambiamento – sottolinea il pastore di Sessa Aurunca – realizzato «seguendo l’Esortazione apostolica Evangelii gaudium e tendendo conto dei cinque ambiti del Convegno ecclesiale di Verona. Questo perché è il contesto vitale a costituire il paradigma di riferimento. È la realtà che impone alle strutture di modularsi. Non viceversa ». Concretamente, si è puntato più che mai sul lavorare insieme. «Ho realizzato molti accorpamenti. Per esempio il tema della formazione riunisce in sé uffici che prima erano molto frammentati. Dalla catechesi alla scuola, il criterio è lo stesso, con cinque ambiti affidati ciascuno a un vicario episcopale». Il principio guida è la collegialità. «Uno degli effetti positivi della riforma è la facilità di comunicazione e di partecipazione di tutti i soggetti ecclesiali. Perché i cinque ambiti sono nelle parrocchie, i cui responsabili partecipano ai cinque ambiti della foranía a loro volta presenti nel Consiglio pastorale diocesano. Così diventa facile la comunicazione sia nell’inviare indicazioni sia nel ricevere sollecitazioni. Il tutto nel-l’ottica di puntare all’unità territoriale».

Un percorso quasi obbligato vista la carenza di vocazioni. «Non si tratta di rispondere alle emergenze ma di promuovere modelli e stili di vita che sono frutto di valori, della bellezza e della novità del Vangelo. Avrei fatto la stessa scelta anche se non ci fosse stata la crisi vocazionale. Perché non può pensarsi una Chiesa che non sappia vivere come aspirazione più grande l’unione, la compartecipazione, la mutualità, la reciprocità». E questo malgrado le cadute, i difetti, i limiti. Alla luce dell’insegnamento di Gesù infatti «sono importanti tutte le esperienze umane, politiche, economiche e sociali, anche quelle più lontane dal Vangelo. Per così dire la stessa criminalità e illegalità sono una condizione di riflessione per attivare il bene. Papa Francesco ce l’ha detto: il peccato è anche occasione per la misericordia di Dio. Per esempio, c’è corruzione? Lavoriamo sulla trasparenza, sulla coerenza. I limiti sono l’emergenza che ci consente di discernere il valore su cui puntare. Il male si combatte facendo crescere il bene».

Monsignor Piazza, mi sembra di capire che lei è felice di essere vescovo. «È così. Sono felice di essere prete malgrado le prove anche durissime vissute. Il giorno della mia ordinazione presbiterale, come il giovane Salomone, al Signore non ho chiesto nulla, se non una parola: “entusiasmo”. “Signore fa che nel mio cuore non si spenga l’entusiasmo”. Le confido che il giorno dell’ordinazione episcopale mentre ero disteso a terra in preghiera in attesa del dono dello Spirito ho chiesto al Signore di rinnovarmi l’entusiasmo. Oggi essere vescovo è molto difficile ma non sono le difficoltà a renderti meno felice. Personalmente sento molto forte il significato di essere mandato ad amare la mia gente. La Chiesa si ama vivendola». Come recita il tema della visita pastorale, “amore domanda amore”.

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