domenica 27 aprile 2014
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Una festa della fede, una pagina di storia vissuta da un milione di fedeli accorsi a Roma da ogni parte del mondo. Abbiamo raccolto alcune storie significative di pellegrini e volontari che hanno partecipato alla giornata della canonizzazione dei due Papi. Padre e figlia, volontari "equestri": "Oggi la storia ha cambiato anche noi"

Fermata Eur Magliana della linea b della metropolitana. Sono le 6.15 del mattino Domenico Di Donato e sua figlia Cristina sono volontari “equestri” del C.S.V.C (centro volontari soccorso a cavallo) che prestano servizio normalmente nella Pineta di Castelfusano sul litorale di Roma. Oggi per loro la sveglia è suonata alle 5.30, per poter prendere servizio alle 7 alla stazione Lepanto, anche se il tradizionale soccorso per rifornimento acqua è stato agevolato dal cielo. “Lì troveremo iL presidente della nostra associazione Giorgio Leone, diamo il cambio a chi ha effettuato il turno notturno 0-7”. Domenico è un vicequestore in congedo, comandava il centro addestramento al volo della Polizia di Stato a Pratica di Mare, sua figlia è un’impiegata amministrativa dell’associazione Telethon. Gente insomma abituata a scattare quando il dovere chiama. Ma… “Oggi è un giorno speciale – dice Cristina –, con due papi che canonizzano due papi per noi è come dare una mano per scrivere una pagina di storia”. Domenico si professa non credente, ma ha una sua esperienza da comunicare: “Con questo papa qualcosa è cambiato in me. Ho sentito forte il desiderio di essere presente anch’io alla sua prima funzione pubblica, mia aveva colpito il suo modo di presentarsi, può immaginare con quanto piacere oggi sia qui a dare una mano”. Una giornata che scrive la storia, e forse contribuisce un po’ anche a cambiarla. Polacchi in piazza Navona: "Preghiamo per il nostro Karol"

Sono le 7.30, piazza Navona è già gremita di pellegrini di ogni nazionalità, in particolare ci sono tanti polacchi, migliaia. Quelli che non ce l’hanno fatta a raggiungere Via della Conciliazione si sono dati appuntamento qui, davanti al maxischermo piazzato dal lato della Chiesa di Sant’Agnese in Agone. Victoria, diciottenne studente dell’ultimo anno del liceo umanistico per agevolare il cronista mostra su un foglietto il complicato nome del suo coro “Szczygielki”, per l’esattezza si tratta del “Chór Szczygiełki “, di Poniatowa, centro nei pressi di Lublino. Un coro prestigioso, ci spiegano, composto tutto di studenti, che studia musica antica, soprattutto di tradizione cattolica. “Ma cantano in 10 lingue e conoscono pure ‘O sole mio'”, ci fanno sapere i docenti. Ma qui sono per il “loro” Karol. Sono in 300. Colpisce la loro compostezza, tutti con in mano un quaderno a prendere appunti: “Annotiamo due riflessioni al giorno che il cuore ci detta, questo è il nostro ottavo giorno a Roma”. Tutti in divisa, con il caratteristico cappellino rosso. “Che cosa ci ha colpito? La grandezza della storia di questa città, e anche, tanto, il calore della gente”. Ma ora si canta. Intonano "Barka" il canto delle “Oasi” della gioventù, tanto amato da Giovanni Paolo II. Glielo intonavano sempre nelle feste di compleanno, perché gli ricordava la gioventù. La gioventù presente in massa oggi, dalla sua terra, per festeggiare la sua canonizzazione. Flauto e chitarra, dalla Bretagna "sulle orme di due grandi Papi"

Sono le 8 e 30 e Piazza Farnese, sede dell’ambasciata francese, è già gremita di fedeli francofoni. A un lato del maxischermo François Bouland et Guénolé Berre intrattengono muniti di chitarra e flauto i fedeli seduti a terra della diocesi bretone di Saint-Brieuc et Tréguie. Sono circa 200 ragazzi. Francois, il chitarrista, è autore – ci dicono – di una quarantina di testi religiosi di una certa rilevanza, con il flautista Guénolé hanno fondato anni fa un complesso “Le groupe AVELIG” , nato inizialmente per animare i pellegrinaggi a Lourdes. “Francois, sì, mi chiamo come il papa”, scherza. Professore di storia in liceo, e cantautore part time, mentre il suo amico fa l’educatore sociale. Sono qui a Roma per la terza volta, ci raccontano. “E’ stato un vero e proprio pellegrinaggio, la nostra fede è stata edificata facendone esperienza insieme. Sulle orme di due grandi Papi”. Dalle Filippine del tifone con le lettere e le preghiere dei sopravvissuti

Sono quasi le 10 in via dei Fori Imperiali, la cerimonia sta per iniziare e davanti a uno dei quattro maxischermi ivi predisposti padre Bernard Pantin si è posizionato con il suo gruppo composto di 23 fedeli filippini della diocesi di Cebu City. Hanno vagato un po’ alla ricerca di un posto, poi si sono fermati qui, ma per loro va bene così. Padre Bernard viene dalla città di Palo, dove il tifone Haiyan ha fatto circa 6mila vittime nel novembre scorso. “Ma ho voluto essere qui perché debbo a Giovanni Paolo II la mia stessa vocazione. Mi colpì il modo con cui sapeva parlare ai giovani. Porto con me le tante richieste di preghiere che mi sono state affidate dalla mia terra martoriata”. Non sono a Roma per la prima volta, questo pellegrinaggio ripete quello di due anni fa per la canonizzazione di San Pedro Calungsod, giovane martire e secondo filippino a ricevere gli onori degli altari nell’ottobre del 2012, ricorda padre Gregorio Canonico, che nella foto è a destra di padre Bernard. Stavolta, invece, sono tornati per i due papi, perché sono legati a entrambi nel ricordo e nella devozione. “Giovanni XXIII ha aperto la Chiesa e l’ha fatta nuova”, dice monsignor Josè Tajanlangit, a sinistra nella foto. “E Giovanni Paolo II poi l’ha rifatta”.
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