lunedì 23 settembre 2019
Fino al 27 settembre a Roma l'assemblea generale della rete contro la tratta dell'Unione internazionale delle superiori generali. Il bilancio di dieci anni di attività in 92 Paesi del mondo
Un pescatore della Thailandia (foto Lisa Kristine per Talitha Kum)

Un pescatore della Thailandia (foto Lisa Kristine per Talitha Kum)

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Somchai è stato schiavo sui pescherecci thailandesi: ora ha una casa e ha ripreso il suo vecchio lavoro. Mihaela, romena, è stata costretta a prostituirsi: oggi studia giurisprudenza. Paola, rapita da bambina, è stata guerrigliera in Colombia: ora è un'imprenditrice che realizza pignatte per bambini. Sono solo alcuni esempi (nomi di fantasia, storie vere) dei successi di Talitha Kum, la rete internazionale della vita consacrata contro il traffico di persone dell’Unione internazionale delle superiore generali (Uisg).

Fino al 27 settembre la Uisg tiene a Roma l'assemblea generale di Talitha Kum: sette giorni di lavori, con 86 delegate da 48 Paesi, per fare il punto sull'impegno contro il traffico di persone e la schiavitù. Un fenomeno che coinvolge almeno 40 milioni di persone, per il 70% donne e bambini (Unodc, 2019). Talitha Kum è presente in 92 Paesi con 44 reti nazionali: 9 in Africa, 11 in Asia, 15 in America, 7 in Europa e 2 in Oceania. Il 26 settembre le 86 delegate incontreranno in udienza privata papa Francesco.

Le voci di alcuni «schiavi liberati»

SOMCHAI (THAILANDIA) PESCATORE SENZA PAGA

«Mi chiamo Somchai e ho 40 anni, molti dei quali vissuti insieme alla mia famiglia, in una baraccopoli in Thailandia. La mia vita non è stata facile. Non ho potuto studiare perché i miei genitori erano poveri, non avevo documenti ed ero e sono tuttora affetto da schizofrenia. Mi guadagnavo da vivere con la vendita dei rifiuti. Quando mi è capitata l’occasione di imbarcarmi su un peschereccio ho accettato la proposta, ero stanco di tanta povertà.

Sognavo di girare il mondo. Purtroppo, mi trovai in una situazione peggiore di quella di prima: mangiavo poco e non riposavo mai. Anche il pagamento promesso non è mai arrivato. Dopo alcuni mesi sono stato abbandonato in un’isola dell’Indonesia. Non capivo la loro lingua, ho sofferto molto. Ho cercato di fuggire ma è stato solo grazie all’aiuto di Caritas e poi di Talitha Kum se ho potuto riconquistare la libertà e tornare in Thailandia. Le religiose mi hanno aiutato a ottenere i documenti che non ho mai avuto e hanno seguito il mio caso, consentendomi di ottenere il risarcimento dei danni e di costruire una nuova casa, dove vivo con i miei genitori. Ho ripreso il mio vecchio lavoro e le sorelle di Talitha Kum continuano a sostenermi per vivere con dignità, nonostante la mia malattia».

MARYAM (ITALIA) IMMIGRATA EX PROSTITUTA RAGGIRATA

«Avevo all’incirca 20 anni quando in carcere incontrai per la prima volta una delle sorelle di Talitha Kum: ero stata arrestata perché la madame mi aveva denunciato per sfruttamento della prostituzione. Avevo deciso di lasciare il mio Paese, la Nigeria, dopo la morte di mio padre. Volevo aiutare mia madre e i miei fratelli. Arrivata in Italia con la promessa di un lavoro, mi ritrovai sulla strada, sotto le direttive di una madame che mi sottoponeva a violenze fisiche e psicologiche. Pensavo che una volta saldato il debito mi sarei liberata da questo incubo. Ma loro chiedevano sempre più soldi. Sola e senza documenti finii in carcere, pur essendo innocente. Fu una suora che veniva a visitarmi a darmi un’altra opportunità. Mi diede fiducia e convinse la sua comunità in Sicilia ad accogliermi in casa loro, consentendomi di ottenere gli arresti domiciliari. In questi anni, grazie all’aiuto delle sorelle, sono riuscita a trasformare la mia vita e ad aiutare altre giovani, cadute come me nelle mani dei trafficanti. Oggi sono felice: sono mamma e la mia è una bella famiglia, così come lo è la comunità che mi ha accolto e dove tuttora lavoro come educatrice».

PAOLA (COLOMBIA) BAMBINA RAPITA E GUERRIGLIERA

«Sono Paola, colombiana, e provengo da una famiglia di contadini, coltivatori di caffè e canna da zucchero. Sono stata rapita dalle Farc - le forze armate rivoluzionarie della Colombia - quando ero solo una ragazzina e fin dal giorno dopo fui costretta a indossare un’uniforme: era di un militare che era stato ucciso dai guerriglieri. In questi anni ho subito lavori forzati e sfruttamento sessuale. Avevo diversi obblighi: sorvegliare il campo, tagliare la legna, prendere l’acqua dal fiume, cucinare. Ma anche caricare gli esplosivi e sollevare trincee a difesa degli attacchi nemici. È stato solo grazie a Talitha Kum se sono riuscita a scappare e a trovare supporto fisico e psicologico. Il ritorno alla società è un processo molto lento. È impossibile cancellare le violenze che ho dovuto subire durante la prigionia. Ma il mio cammino è aperto alla speranza da quando ho incontrato il mio attuale compagno, anche lui ex guerrigliero, oggi padre dei miei bambini. Il governo ci ha aiutato con un piccolo sussidio, che abbiamo investito in un’attività familiare: realizziamo pignatte in materiale riciclato per le feste dei bambini. Anche se il mio sogno è quello di tornare a studiare, ed un sogno che la guerra non mi ha potuto rubare».

MIHAELA (GERMANIA) IMMIGRATA COSTRETTA A PROSTITUIRSI

«Avevo 19 anni quando, dopo aver finito il liceo in Romania, decisi di andare a lavorare in Germania per tre mesi da una “famiglia seria”. Così l’aveva definita la mia amica Amalia. Con il guadagno mi sarei pagata l’università. Ero già stata accettata dalla facoltà di Scienze politiche. Una volta arrivata in quella casa mi accorsi quasi immediatamente che qualcosa non andava: non c’erano giocattoli, eppure Amalia aveva detto che la famiglia aveva tre figli. Non appena lei andò via, tre uomini entrarono in casa, mi picchiarono, abusarono di me e poi mi portarono in un bordello dove fui costretta a prostituirmi ogni giorno, dalle 7 di sera alle 5 del mattino. A volte ricevevo anche 15 clienti al giorno. Ora quegli stessi trafficanti sono in prigione e dovranno restarci per almeno 7 anni. Per questo devo ringraziare una Ong e le sorelle di Talitha Kum che si sono prese cura di me. Sono passati sette anni e la mia ferita non è completamente guarita però oggi ho una nuova vita. Sono iscritta al secondo anno della facoltà di Giurisprudenza per aiutare tutte le ragazze a fuggire da questo incubo e fare in modo che i trafficanti finiscano dietro le sbarre».

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