venerdì 18 ottobre 2019
Parla Mauricio Lopez, segretario della Rete ecclesiale panamazonica (Repam). Radicati nella realtà di questa regione per non riprodurre la dinamica coloniale del passato
Alcuni partecipanti al Sinodo per l'Amazzonia (Siciliani)

Alcuni partecipanti al Sinodo per l'Amazzonia (Siciliani)

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«Vorrei poter tornare a Quito, guadare in faccia i tantissimi uomini e donne dell’Amazzonia che amano la Chiesa, che vivono e camminano con lei, che affrontano sofferenze indicibili e dire loro: “Il vostro grido è stato ascoltato e accolto. In un processo di discernimento, siamo riusciti a trovare nuovi cammini per rispondervi affinché abbiate vita e vita in abbondanza”». Mauricio Lopez è esponente della Commissione per la comunicazione del Sinodo. Evento alla cui preparazione ha contribuito, come segretario della Rete ecclesiale panamazonica (Repam), su richiesta del Vaticano. La Rete ha un’approfondita conoscenza della sterminata regione che si estende per 7,8 milioni di chilometri quadrati. Nata nel 2014, essa raccoglie le esperienze di singoli, comunità parrocchie, vicariati, prelature, diocesi e organizzazioni impegnate da tempo immemorabile sul territorio amazzonico.

Perché la necessità di fare rete?
Repam deve essere inquadrata nel processo trasformatore avviato dal Concilio Vaticano II in America Latina e incarnato dalle conferenze dell’episcopato latinoamericano, da Medellín a Aparecida. In particolare, quest’ultima si è impegnata a stabilire tra le Chiese locali dei diversi Paesi in cui si estende l’Amazzonia una pastorale d’insieme, sebbene con priorità differenziate. Anche se è venuta prima, però, Repam è figlia pure della Laudato si’, che costituisce la sua Magna Charta. Proprio come questo Sinodo.

Per quale ragione?
Il cuore della Laudato si’ è il concetto di ecologia integrale. In esso confluiscono e vengono messe in dialogo diverse dimensioni della vita per rispondere a una realtà complessa: ecologia politica, economica, sociale, ambientale, culturale e spirituale. La conversione ecologica a cui essa invita si affianca a quella pastorale e sinodale che costituiscono l’orizzonte del magistero bergogliano. Il Sinodo le cuce insieme: esso vuole costruire nuovi cammini per la Chiesa e l’ecologia integrale, intesi, però, non come elementi separati. I nuovi cammini per la Chiesa devono avere implicazioni per l’ecologia integrale e quest’ultima deve esprimere e stimolare nuovi cammini per la Chiesa.

Qual è la principale minaccia per l’Amazzonia?
Il modello estrattivista che qui mostra il suo volto più feroce. I governi, di destra e di sinistra, ne sono complici: sono loro a generare il quadro legale e politico affinché possa operare. Per giustificarsi, cercano di imporre all’opinione pubblica la grande menzogna che il modello estrattivo sia l’unica strada per combattere le povertà. Falso! La povertà non nasce dalla penuria di risorse bensì dalla loro diseguale distribuzione. L’estrattivismo è l’altro volto dell’iniquità.

Che cosa spera per questo Sinodo?
Che, in primo luogo, possa nascere una nuova struttura regionale Panamazzonica in modo da portare avanti le intuizioni profetiche dell’Assemblea. E, soprattutto, che non si perda di vista la dimensione territoriale. Ovvero che l’Amazzonia venga utilizzata per imporre agende elaborate altrove. Non mi spaventa che l’assemblea possa toccare temi scomodi. Qualunque proposta, però, deve essere radicata nella realtà amazzonica. Altrimenti ripetiamo la stessa dinamica coloniale del passato. Se questo è un Kairos di Dio – e non ho dubbi che lo sia – dobbiamo avere fiducia nello Spirito, fare il dovuto senza pretese né ossessioni, senza forzare né rompere, piantando semi da cui nasceranno alberi sotto i quali si siederanno le nuove generazioni».

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