mercoledì 8 ottobre 2014
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La necessità dell’ascolto delle famiglie ferite, il dialogo con la cultura contemporanea, l’esigenza di non ridurre la vita di fede a un profilo solo sacramentale. Ma, al contrario, la sollecitazione a dare spazio alle esperienze e alle sofferenze di chi attende gesti di tenerezza e di comprensione. Temi che sono da anni patrimonio pastorale della Chiesa italiana. Sarebbe un errore però considerare con sufficienza  – o peggio con atteggiamento di superiorità – le riflessioni che emergono dai rappresentanti di Chiese in cui la pastorale familiare è ancora all’abc. Anche perché nella prospettiva di un vescovo africano o di un asiatico ciò che per noi appare scontato, assume un rilievo nuovo. È la ricchezza del Sinodo che trova la sua forza proprio nell’umiltà di camminare insieme. Anche quando il compagno di strada porta esperienze lontanissime dalle nostre. Anche quando si affrontano argomenti come la poligamia – è stato uno dei temi sollevati ieri sera – solo apparentemente lontani dalle nostre preoccupazioni più urgenti. Invece anche questioni considerate non primarie, come appunto il matrimonio poligamico, ci riguardano da vicino. Non solo perché tanti degli immigrati tra noi, sono nati in quella cultura. Ma anche perché, a pensarci bene, l’usa e getta sentimentale, il turnover affettivo che segna pesantemente il modo di pensare di tanti giovani non è altro che una poligamia diversificata e progressiva, anche se non contemporanea. Capire quale proposta di preparazione al matrimonio offrire in questi contesti – i nostri segnati da una pesante laicizzazione e quelli caratterizzati da tradizioni profondamente diverse – è stato l’interrogativo di numerosi padri sinodali.
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