martedì 15 ottobre 2019
José Ángel Divassón Civati: la nostra azione missionaria come salesiani ha risentito all’inizio di un certo carattere paternalista e sacramentalista. Poi la svolta
Un momento del Sinodo per l'Amazonia

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Nella seconda settimana i lavori al Sinodo si dividono tra assemblee generali (le congregazioni) e i lavori di gruppi (circoli minori). Ieri e oggi congregazioni, mentre domani e giovedì circoli minori. Nella giornata di giovedi i circoli relazioneranno in assemblea sul lavoro svolto. La prima bozza di documento finale verrà presentata lunedì 21 per essere ulteriormente emendata fino alla presentazione finale il venerdì successivo. Infine, la votazione il 26 ottobre.

Come salesiani, siamo presenti fra gli Yanomami, lungo la frontiera fra Brasile e Venezuela, dal 1957. In un primo periodo la nostra azione missionaria ha risentito ancora di un certo carattere paternalista e sacramentalista. Il Concilio, però, ha aperto una nuova stagione. Abbiamo deciso di condividere la vita delle comunità, con profondo rispetto, consapevoli che erano gli Yanomami a dover prendere le redini del loro futuro. Noi ci siamo limitati ad aiutarli a farlo, promuovendo l’educazione, i progetti che li rendessero economicamente indipendenti, la difesa dei loro diritti». La voce di monsignor José Ángel Divassón Civati è flebile ma ferma. Spagnolo di nascita ma venezuelano di adozione, il vicario apostolico emerito di Puerto Ayacucho ha dedicato la vita alla missione fra i popoli nativi.

«Non sono l’unico. Un confratello ha avuto 40 ricadute di paludismo» ha aggiunto il religioso, prima di proseguire: «Abbiamo compreso che per evangelizzare dovevamo conoscere gli Yanomami, i loro sentimenti, i loro sogni. Col primo gruppo, il cammino di preparazione è andato avanti per nove anni. Alcuni hanno lasciato. Altri sono arrivati al Battesimo e sono stati il seme di una Chiesa Yanomami. Il Vangelo non toglie niente alla loro identità. Il cristianesimo conserva il buono che c’è in ogni cultura aiutando, al contempo, i popoli a crescere.

Gli Yanomami, ad esempio, si sono resi conto che il valore evangelico del perdono consentiva loro di risolvere in modo più efficace i conflitti». Ascoltando testimonianze di questo tenore si capisce – come ha sottolineato padre Giacomo Costa, segretario della commissione per l’Informazione, durante il consueto appuntamento informativo in Sala stampa vaticana – che la «Chiesa in uscita» sognata da papa Francesco è già realtà.

Sono moltissime le esperienze pastorali di accompagnamento autentico condivise durante il Sinodo sull’Amazzonia, che fino ad oggi prosegue con le Congregazioni generali. La riunione di ieri, alla presenza di papa Francesco, che è intervenuto al termine, sottolineando quanto l’aveva maggiormente colpito, si è aperta – ha raccontato Paolo Ruffini, prefetto del dicastero per la Comunicazione – con una preghiera per l’Ecuador. Il dibattito si sta svolgendo in un clima di confronto libero e sereno, fuori dalle contrapposizioni spesso tanto care al dibattito mediatico. Anche sulla questione, spesso citata, dei viri probati «non ci sono pro e contro ma il tentativo di discernere insieme, in cui le osservazioni di ciascuno diventano spunto per approfondire la riflessione», ha spiegato padre Costa.

Sulla centralità dell’Eucaristia per la vita della Chiesa si è soffermato l’intervento di monsignor Carlo Verzelletti, vescovo di Castanhal, sull’estuario del Rio delle Amazzoni. «La mia diocesi si estende per 800mila chilometri quadrati. Ci sono 1.100 comunità e solo 45 sacerdoti, di cui cinque hanno più di 80 anni. È molto difficile, dunque, portare avanti una pastorale di presenza». Per tale ragione, Verzeletti si è detto favorevole all’ordinazione sacerdotale di anziani sposati. «Non si tratterebbe di preti di seconda categoria ma di persone che conducono già una vita eucaristica profonda, una vita cioè di dono per gli altri», ha detto il pastore, di origini bresciane.

La chiamata della Chiesa a levare la voce in difesa dei nativi è stato un altro tema forte delle ultime Congregazioni. «Dobbiamo far arrivare il loro grido fino alle istanze politiche, dove si passa dalle vite degli esseri umani alle decisioni», ha affermato Josianne Gauthier, segretaria dell’Alleanza cattolica internazionale di agenzie di sviluppo (Cisde). A tal proposito, José Gregorio Díaz Mirabal, del popolo curripaco e presidente del Congresso delle organizzazioni indigene amazzoniche (Coica), ha voluto rivolgere un ringraziamento speciale a papa Francesco «per essersi ricordato di noi “genti con le piume”, invisibili per il resto della società, eppure fondamentali perché proteggiamo la foresta per tutta l’umanità. Il Santo Padre l’ha capito, per questo ha accettato la corona di piume che gli abbiamo donato, un anno fa, a Puerto Maldonado».

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