martedì 15 ottobre 2019
E resta sempre aperta la questione dell'inculturazione e si discute anche di liturgia per riproporla «dentro il linguaggio, i segni, i gesti, la mimica e la cultura locale di ogni gruppo etnico».
Lavori in corso. Una partecipante al Sinodo per l'Amazonia (Siciliani)

Lavori in corso. Una partecipante al Sinodo per l'Amazonia (Siciliani)

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«Una frontiera nelle frontiere. Le questione migratoria in Amazzonia è fondamentale. Non possiamo capire la regione amazzonica senza le migrazioni». Marcia María de Oliveira, sociologa brasiliana dell’Università federale di Roraima, esperta in società e frontiere, culture amazzoniche e storia della Chiesa in Amazzonia, ha puntato i riflettori sull’urgenza sociale determinata dai flussi migratori che investono tutta la regione. Perché l’Amazzonia è anche terra di forte transito, regione con la maggiore mobilità interna e internazionale in America Latina.

«Esiste la migrazione pendolare, lo spostamento forzato all'interno del paese stesso e all'estero, la migrazione volontaria dalle zone rurali verso le città e la migrazione internazionale» ha spiegato la sociologa interpellata nel corso del consueto briefing quotidiano in sala Stampa vaticana. Questa transumanza amazzonica – spiega – è stata trattata negli interventi nell’aula sinodale perché il fenomeno migratorio va ben compreso e sia sufficientemente analizzato dal punto di vista pastorale».

Si tratta infatti di una realtà complessa e variegata che ha molte cause: socio-politiche, climatiche, di persecuzione etnica ed economiche, queste ultime indotte per lo più da progetti politici, grandi opere e imprese estrattive, che attraggono lavoratori ma allo stesso tempo allontanano gli abitanti dai questi territori. E l’aggressione all'ambiente in nome dello “sviluppo” ha drammaticamente peggiorato la qualità della vita delle popolazioni amazzoniche, sia urbane che rurali, a causa della contaminazione e della perdita di fertilità del territorio. «Siamo di fronte a una crisi umanitaria» ha detto De Oliveira.

«Accompagnare le migrazioni è pertanto uno degli imperativi più urgenti da raccogliere per la regione panamazzonica» ha ripreso nel corso del briefing padre Sidney Dornelas, missionario scalabriniano e direttore del Centro di studi migratori latinoamericani. «Siamo di fronte a una crisi umanitaria – ha affermato – Esiste la volontà della Chiesa di accompagnare i migranti, ma esiste anche una mancanza di formazione».

La Chiesa amazzonica si è trovata ultimamente anche ad «affrontare un flusso di migliaia e migliaia di migranti, provenienti prima da Haiti e poi dal Venezuela. Lo Stato non era pronto a fronteggiare tale situazione e la Chiesa se ne è fatta carico», ha detto padre Dornelas, facendo notare come attualmente ci siano circa 150mila migranti che stanno attraversando la frontiera. Da qui la necessità di «un’attenzione specifica per le persone che vengono da altri continenti e Paesi» e dunque al grande capitolo delle migrazioni internazionali, che va ad aggiungersi a quello già ingente delle migrazioni interne alla regione panamazzonica, che nella sola capitale di Manaus arrivano al ritmo di 40 mila all’anno. Centrale, inoltre, nell’ultima giornata delle congregazione generali con interventi singoli in aula, la questione dell’inculturazione.

Il modo cioè di essere della Chiesa nella ricca diversità delle culture amazzoniche, così da renderla una Chiesa più discepola e sorella in un atteggiamento di ascolto, servizio, solidarietà, rispetto, giustizia e riconciliazione. E collegato al tema dell’inculturazione, è stato ripreso anche quello dell’educazione dei popoli indigeni amazzonici, un’educazione purtroppo caratterizzata da cattiva qualità e forte precarietà.

«Creare Commissioni che lavorino sul metodo per dare un volto amazzonico anche alla liturgia. È una delle proposte emerse al Sinodo per l’Amazzonia, dove proprio il tema dell’inculturazione è stato uno degli argomenti più dibattuti. A riferirne durante il briefing ai giornalisti è stato Ralfael Alfonso Escudero López-Brea, vescovo Prelato di Moyobamba, in Perù e monsignor Eugenio Coter, vicario apostolico di Pando e vescovo titolare di Tibiuca in Bolivia. Lopez-Brea ha rilevato la necessità di «introdurre nella celebrazione eucaristica simboli e riti che non abbiano un impatto su ciò che è essenziale nel rito, ma arricchiscano la celebrazione con le peculiarità delle popolazioni indigene». «Non è qualcosa di nuovo nella storia della Chiesa – ha spiegato – esistono infatti altri riti oltre a quello romano, come il rito per le Chiese cattoliche orientali».

In Amazzonia, ad esempio, ha aggiunto monsignor Coter, «si usa incensare l’altare durante la preghiera dei fedeli, e non all’inizio della messa: per i popoli indigeni, è espressione di salire al cielo». «Si tratta di un adattamento del rito liturgico», ha affermato il vescovo rispondendo ad una domanda dei giornalisti. Una delle proposte emerse è quella di creare «commissioni che lavorino sul metodo per dare un volto amazzonico anche alla liturgia, per riproporre la liturgia dentro il linguaggio, i segni, i gesti, la mimica e la cultura locale di ogni gruppo etnico».

«Ci sono elementi strutturali della liturgia che non possono essere toccati, in quanto elementi essenziali, ed altri che possono essere approfonditi perché parlino alla gente che vi partecipa» ha concluso Coter. Tenuto poi conto che «nonostante le diversità dei popoli, la Chiesa in Amazzonia ha una sua unitarietà», una delle proposte emerse nell’assemblea sinodale, come ha riferito padre Giacomo Costa, segretario della Commissione per l’informazione, è quella di «creare una struttura ecclesiale, un organo che accompagni il popolo di Dio nella regione panamazzonica». L’hanno proposta i padri sinodali nell’ultima congregazione generale. Un organismo ecclesiale permanente che si faccia carico di tutto il percorso post-sinodale, valorizzando il contributo della Repam.

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