venerdì 3 luglio 2015
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Vittorio Aliquò diresse l’arresto del boss mafioso Riina «Preghiera e adorazione le armi più forti contro il male»Durante l’incontro con il Papa ha portato la sua testimonianza Vittorio Aliquò, palermitano, sposato, padre e nonno. Per 48 anni, dal 1961 al 2009, Aliquò ha prestato servizio in magistratura. Collega e amico di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ha lavorato in «stretto contatto con quel famoso "pool antimafia" che poi fu decimato». «Diressi io, dopo essermi preparato in preghiera con mia moglie – ha continuato – l’arresto del più temuto boss di mafia Totò Riina». Per oltre 20 anni, ha aggiunto, «ho dovuto vivere scortato», un’esperienza che cambia la vita di una famiglia, che costringe a recarsi alla Messa «ogni volta in una chiesa diversa, senza potere fare un cammino comunitario. «Ma la cosa che maggiormente mi addolorava – ha aggiunto Aliquò – era dover rinunciare agli incontri di preghiera del Rinnovamento nello Spirito, a cui appartengo con mia moglie Giovanna fin dal 1975, tra i primissimi in Sicilia insieme all’indimenticabile padre Matteo La Grua. Ho imparato che niente più della preghiera e dell’adorazione combattono il male». Nella testimonianza del magistrato poi il ricordo del sangue innocente versato dai martiri di oggi, i tanti «colleghi magistrati uccisi, gli uomini delle scorte e delle forze dell’ordine, i funzionari, i politici, gli imprenditori, i giornalisti, la maggior parte conosciuti personalmente, e non ultimo, il beato don Pino Puglisi. «Se oggi gran parte delle strutture di mafia sono state fortemente indebolite, lo dobbiamo al loro coraggio e sacrificio». A partire dalla beatitudine "Beati i perseguitati per causa della giustizia" infine il richiamo alla fede in «in Colui che ha il potere di cambiare il lutto in gioia» e il rigraziamento al Papa per il continuo esortare a «combattere il male e a difendere il bene, facendo del comandamento dell’amore e del perdono la nostra vera ragione di vita. Grazie perché con Lei si ritrova la gioia di vivere».
Ugo, 17 anni: Gesù ha ridato speranza alla mia vitacostellata di dolori e abbandoni sin dall’infanziaUna vita costellata di dolori e abbandoni: la partenza della madre drogata, la crescita affidata alla nonna, l’abbandono del padre e il suicidio del nonno. «Mi sembravano tante condanne che si erano abbattute su di me – racconta Ugo Esposto, 17 anni di Senigallia –. Da quel momento, per l’enorme dolore, scese dentro e fuori di me il silenzio. Mi adattai alla situazione sviluppando una completa sfiducia nelle persone che mi stavano accanto». E da «bambino diffidente» crescendo è diventato «un ragazzo solo». «Mia nonna si era impegnata per farmi ricevere i Sacramenti, che per me, tuttavia, non avevano alcun significato. Trascorrevo alcune ore della giornata in parrocchia per avere un luogo dove stare; non avevo alcuna voglia di studiare. Del resto nessuno mi controllava o si interessava di me», Poi un giorno «sento pregare e cantare ad alta voce ragazzini come me. Erano tanti, membri di un Gruppo del Rinnovamento nello Spirito denominato "Giardinetto di Maria" composto da soli bambini e ragazzi e dalle loro famiglie». Fu il punto di svolta, anche se non immediato. «Mi chiedevo continuamente che cosa avessero mai da sorridere e da star felici tutto quel tempo. Passavano le settimane e più m’incuriosivo. Vengo trascinato in uno di questi incontri, grazie all’insistenza di un giovane vice parroco arrivato da poco. Rimasi colpito dalla loro spontaneità, da come riuscissero a parlare con Dio, e allo stesso tempo mi domandavo come fosse possibile questa preghiera di grandi e piccoli insieme. Per me era inconcepibile». Ma il cammino è proseguito e lo ha coinvolto. «Se Gesù ha ridato speranza alla mia vita – ha concluso Ugo –, allora può donarla a tutti i ragazzi come me! E così non smetto di evangelizzare, a scuola come negli ambienti in cui mi trovo»
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