martedì 25 settembre 2018
Il rapporto presentato a Fulda parla di responsabilità da parte di oltre 1.600 tra sacerdoti, diaconi, religiosi
Choc per gli abusi. Il cardinale Marx: vergogna e dolore
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La stampa ne aveva già parzialmente anticipato i contenuti la settimana scorsa, con una fuga di notizie che aveva creato un certo scompiglio, ma ieri è stato il giorno dello svelamento ufficiale dello studio su 70 anni di abusi sessuali commessi nell’ambito della Chiesa cattolica tedesca. Il più dettagliato mai realizzato finora. L’occasione è stata una conferenza stampa tenuta a Fulda, dove in questi giorni è riunita per la sua assemblea autunnale la Conferenza episcopale di Germania. A rappresentare l’episcopato teutonico erano il suo presidente, il cardinale Reinhard Marx, e il vescovo di Treviri Stephan Ackermann, insieme a loro numerosi protagonisti della ricerca.

Lo studio in questione è uno scavo pluriennale voluto dalla Conferenza episcopale, ma realizzato in maniera indipendente da da tre istituti delle università di Heidelberg, Giessen e Mannheim, coordinati dallo psichiatra forense Harald Dressing. I numeri sono impietosi: 3.677 le vittime minorenni di abusi a sfondo sessuale documentabili in qualche modo, avvenuti tra il 1946 e il 2014 e compiuti da 1.670 tra sacerdoti, diaconi e religiosi, in grandissima maggioranza comunque da preti diocesani. Si tratterebbe, secondo un calcolo, del 4,4% di tutti i presbiteri attivi in Germania negli ultimi 70 anni, anche se la percentuale reale è presumibilmente più elevata, come si deduce dalle modalità dell’indagine. I ricercatori hanno infatti lavorato incrociando una enorme mole di dati eterogenei – denunce delle vittime o presunte tali, circa 38mila documenti conservati negli archivi diocesani, atti giudiziari e interviste – non hanno potuto accedere direttamente ai fascicoli diocesani ma hanno lavorato sul materiale passato loro, su richiesta, dagli archivisti. Inoltre per 17 delle 27 diocesi presenti in Germania l’indagine si è limitata al periodo 2000-2014. Questi fattori hanno fatto sì che il rapporto abbia ricevuto anche critiche per la sua attendibilità, che però è stata difesa con determinazione dal coordinatore Dressing. Il quale non ha cercato di indorare la pillola ai presenti, anzi. «L’entità e la frequenza degli abusi sessuali nella Chiesa cattolica mi hanno scosso» ha detto lo studioso, premettendo di occuparsi del tema degli abusi da decenni.

«Provo vergogna per i molti che si sono voltati dall’altra parte» ha detto Marx, «che non hanno voluto riconoscere quello che accadeva, che non si sono occupati delle vittime. Questo vale anche per me. Non abbiamo dato ascolto alle vittime». Il cardinale ha detto di avere informato il Papa dello studio, di volerne parlare nell’ambito del Consiglio dei cardinali (il “C9”) così come durante il Sinodo dei giovani che si aprirà a breve in Vaticano. Ackermann ha annunciato una approfondita riflessione dell’episcopato sui risultati emersi e sulle misure da prendere.

Molte le disfunzionalità che i ricercatori hanno messo in evidenza – come la pratica di spostare sacerdoti problematici da una parrocchia a un’altra o da una diocesi all’altra, con una scarsa trasparenza sui trascorsi dei sacerdoti stessi. Ma due i temi che hanno voluto soprattutto sottolineare: il «clericalismo», come degenerazione dell’autorità dei chierici e consacrati sui laici – con l'indicazone della delicatezza del sacramento della Confessione, spesso occasione di abusi – e i problemi di identità e maturità affettivo-sessuale dei membri dei clero. Il 62,8% delle vittime sono maschi, ma se si sta ai soli atti giudiziari la percentuale sale all’80,2. I ricercatori non collegano il tema dell’omosessualità a quello degli abusi, ma evidenziano che la vita celibataria può apparire a candidati al sacerdozio con una «inclinazione omosessuale immatura e repressa» come una soluzione ai propri problemi psicologici. Da qui – andando oltre l’analisi fattuale, con una serie di considerazioni che suonano più che discutibili, provocatorie – anche l’indice puntato contro un clima “omofobico” nella Chiesa e una morale sessuale, quella cattolica, che impedirebbe l’instaurarsi di un clima pischicamente sereno. Addirittura auspicando il superamento della non ammissibilità al sacerdozio di persone che presentano «tendenze omosessuali profondamente radicate»: il criterio contenuto nell’Istruzione sul discernimento vocazionale emanata dalla Congregazione per l’educazione cattolica nel 2005, a cui ha fatto indirettamente riferimento anche papa Francesco nella lettera consegnata ai vescovi cileni lo scorso 17 maggio.

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