giovedì 28 novembre 2019
Il segretario di Stato vaticano ha svolto la prolusione all'apertura dell'Anno alla Cattolica di Milano sulla diplomazia vaticana e la via della pace. Il discorso del rettore Anelli
Il cardinale Parolin durante la prolusione all'Università Cattolica (Fotogramma)

Il cardinale Parolin durante la prolusione all'Università Cattolica (Fotogramma)

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Nella crisi di Hong Kong «chi ha scelto come metodo la violenza deve rinunciare, e invece percorrere la strada del dialogo, dell'incontro e dell'ascolto». Il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, risponde così ai giornalisti che lo attorniano, questa mattina 28 novembre, al termine della cerimonia di apertura del 99° Anno accademico dell’Università Cattolica nella sede di Milano. Del resto poco prima svolgendo la sua prolusione, lo stesso cardinale aveva indicato con chiarezza nelle parole «dialogo» e «ascolto», gli strumenti per costruire la vera pace.

No a una pace basata sulla paura

E l’aggettivo «vera» non è casuale. Parolin ricordando quanto detto da papa Francesco nella recente tappa giapponese del suo viaggio apostolico in Asia «è stato chiaro: la pace e la stabilità internazionale sono incompatibili con qualsiasi tentativo di costruire sulla paura della reciproca distruzione o su una minaccia di annientamento totale». Ecco allora che il dialogo e l’ascolto devono prevalere sulle posizioni di parte per giungere a un’intesa di pace. È, come spiega ancora il cardinale Parolin, «il metodo adottato dalla diplomazia vaticana», che fa della pace «un obiettivo prioritario». Una pace che parte dallo stesso diplomatico, avverte ancora il segretario di Stato vaticano, e dal suo attegiamento e modo di porsi, che «non può che essere umile, dolce, imparziale», perché «la diplomazia pontificia lavora per garantire un’ordinata convivenza mondiale» e «in questo il dialogo è un impegno strutturale e vede il diplomatico vaticano impegnato a trovare tutti gli elementi utili, tutte le occasioni propizie, per potenziare la via del dialogo». E cita i casi di Colombia, Nicaragua e Mozambico, dove la diplomazia della Santa Sede ha svolto una parte attiva.
Compito tutt’altro che semplice e facile. Anzi potrebbe apparire addirittura fuori luogo nella situazione internazionale che stiamo vivendo. «Stiamo assistendo ad un'erosione del multilateralismo ancora più grave di fronte allo sviluppo delle nuove tecnologie e delle armi – ha aggiunto il porporato –. Questo approccio sembra incoerente nell'attuale contesto segnato dell'interconnessione che richiede urgente attenzione da parte di tutti i leader politici del mondo». Ma la Chiesa non cede nel proprio impegno e «non per una sorta di potere o di richiesta di privilegi», ma perché «interessata, come ricorda il Papa, all’intera famiglia umana, senza distinzioni». Ecco allora che porre al centro l’uomo diventa un fattore fondamentale. «L'attività diplomatica può avere il suo peso effettivo – sottolinea Parolin – solo quando è un efficace strumento di servizio alla cause dell'uomo e non solo all'interesse nazionale».

Il ruolo del mondo accademico

E se «una diplomazia veicolo di dialogo, cooperazione e riconciliazione può diventare via alla pace», anche il mondo accademico «è chiamato a fare la sua parte su questa via». Un ateneo, come l’Università Cattolica, non più pensato solo «come dispensatore di un sapere teorico o come ambiente che si compiace dei traguardi raggiunti», ma come «soggetto capace di aprirsi non solo alla sfide, ma di superare anguste barriere attraverso lo studio, la conoscenza e l’analisi di quanto o circonda».
Un impegno per la pace, che lo stesso rettore della Cattolica Franco Anelli aveva ricordato nel suo discorso inaugurale per l’Anno accademico vigilia dell’anno centenario. «Siamo chiamati – ha detto il rettore – a partecipare all’elaborazione di un pensiero nuovo, che ci permetta di comprendere e affrontare un contesto altrettanto nuovo» e «a questo scopo non di richiede soltanto di promuovere processi di internazionalizzazione delle attività di ricerca e di insegnamento». E sicuramente testimone di pace è la senatrice Liliana Segre che è stata tra gli ospiti del pranzo al termine della cerimonia.

L'omelia dell'arcivescovo Mario Delpini

E da parte sua l’arcivescovo di Milano Mario Delpini, nel suo ruolo di presidente dell’Istituto Toniolo, consegna tre parole alla comunità accademica di largo Gemelli: «avere una visione condivisa del cammino», «avere una coralità, come metodo» e «vivere la responsabilità come esercizio di confronto». E poco prima nell’omelia della Messa d’apertura dell’Anno concelebrata con l’assistente ecclesiastico generale il vescovo Claudio Giuliodori, il prete-abate di Sant’Ambrogio Carlo Faccendini e gli assistenti spirituali dell’ateneo, nella vicina Basilica di Sant’Ambrogio, l’arcivescovo Delpini, partendo dalle letture del giorno, aveva invitato la stessa comunità accademica a «guarire» il «proprio sguardo e la propria parola». «Apriamo cuore e mente alla grazia, alla luce, alla vocazione con cui Dio ci chiama – ha invitato Delpini –. Affidiamoci volentieri al vento amico dello Spirito che in questo anno accademico continua a prendersi cura di noi per guarire la parola, guarire lo sguardo, perché guarisce l'intimo della persona, inaccessibile a tutti, fuorché a Dio». Anche purificando sguardo e parola ci si incammina sulla via della pace.

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