domenica 25 maggio 2014
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«È un pellegrinaggio di pace. Personal­mente lo aspetto con grande curiosità e voglio dare a papa Francesco fin da o­ra il benvenuto mio e di tutto il popolo palestinese». Muham­mad Ahmad Hussein, settimo Gran Mufti di Gerusalemme, sarà tra coloro che incontre­ranno Bergoglio durante il suo viaggio in Terra Santa. La su­prema autorità giuridica sunni­ta responsabile della gestione dei luoghi santi islamici di Ge­rusalemme accompagnerà il Pontefice sulla Spianata delle moschee lunedì, come già fe­ce con Benedetto XVI nel 2009. E, tra le difficoltà e le tensioni politiche che si respirano a Ge­rusalemme, guarda con spe­ranza al prossimo evento.  Il Papa sarà accompagnato da un imam e da un rabbino nel­l’arco della sua permanenza in Terra Santa: come interpreta questa decisione? Come musulmano e studioso di islam accolgo volentieri chiunque. È proprio della no­stra cultura il valore dell’acco­glienza. Non è un mistero che la convivenza a volte è difficile in questa Terra, ma credo che mol­to spesso la mancanza di dialo­go sia causata innanzitutto da una mancanza di incontri tra le persone. Manca la volontà di conoscersi e parlare. La pre­senza di un imam e di un rab­bino insieme al vescovo di Ro­ma è un fatto storico, dalla por­tata unica. Crede che questa scelta possa incentivare il dialogo interreli­gioso in Terra Santa? Ne sono convinto, innanzitutto perché vedo chiaramente in questo Papa la volontà di raffor­zare e ribadire con fermezza il messaggio che portano – da sempre – tutte le religioni: la promozione della giustizia, del­l’amore e della pace. Su questi valori si può realmente costrui­re un dialogo efficace e duratu­ro. Da questo punto di vista non esiste una differenza tra cristia­ni, ebrei o musulmani: tutte le grandi religioni monoteiste pro­clamano da sempre nel loro credo questi valori fondanti. E anche l’islam non è ostile a nes­sun’altra religione, noi credia­mo fermamente nella convi­venza di tutte le fedi e per que­sto rispettiamo tutti i profeti.  Eppure specialmente i rap­porti tra ebrei e musulmani a Gerusalemme non sembrano dei migliori... Bisogna distinguere tra il go­verno israeliano e la religione e­braica. Come palestinesi criti­chiamo fermamente la classe politica attuale, colpevole di un’occupazione che schiaccia il popolo. Ma come uomini di fede siamo aperti al dialogo con gli ebrei, con cui abbiamo in co­mune tanto.  Recentemente alcuni atti di vandalismo a danno di alcune chiese cristiane sembravano mostrare chiaramente che non tutti sono disposti ad accoglie­re il Santo Padre. È preoccupa­to per quest’ondata di odio an­ticristiano? Gli atti di vandalismo – lo dico con fermezza – sono pericolo­si per tutti, palestinesi e israe­liani, perché distruggono l’im­magine di un popolo intero. E poi certo, hanno provocato un inutile dolore ai cristiani di Ter­ra Santa e anche a papa Fran­cesco. È lo stesso dolore che io sento ogni giorno, quando ve­do i luoghi santi e il mio popo­lo sotto occupazione. Spero che la visita del Papa porterà anche un po’ di sollievo al mio popolo che soffre da anni, inu­tilmente. Ma non sono preoc­cupato, il suo carisma è qual­cosa di talmente affascinante che non sarà un piccolo grup­po di fanatici a rovinare il cli­ma di attesa per la sua visita. Francesco è sempre benvenu­to, il popolo palestinese è con lui e sappiamo anche quanto lui tenga a noi. Nel 2009 lei ha anche accom­pagnato Benedetto XVI. Cosa si aspetta ora da questo in­contro con il nuovo vescovo di Roma? Sono entrambi pellegrinaggi di pace. E anche da questo viag­gio, come fu nel 2009, mi a­spetto che il dialogo continui. Qui arabi cristiani, arabi mu­sulmani ed ebrei vivono insie­me: devono – dobbiamo – dia­logare per forza. Mi aspetto che papa Francesco ci insegni a far­lo sempre di più: il suo carisma è contagioso.
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