mercoledì 23 settembre 2015
Francesco ha parlato all'episcopato come "vescovo di Roma" chiamato da Dio per custodire l'unità della Chiesa Universale e per incoraggiare nella carità il percorso di tutte le Chiese particolari". Le raccomandazioni finali. (Stefania Falasca) TUTTI I DISCORSI | La diretta su Tv2000
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«Non è mia intenzione tracciare un programma o una strategia. Non sono venuto per giudicarvi o per impartirvi lezioni. Consentitemi soltanto, con la libertà dell’amore, di poter parlare come un fratello tra fratelli». Con il tono fraterno di queste parole Papa Francesco è andato incontro all’intero episcopato statunitense nella cattedrale di San Matteo a Washington. «Devo dirvi che non mi sento tra voi un forestiero», ha confidato loro ricordando la sua provenienza «anch’essa americana». Francesco si è così rivolto ai vescovi parlando come «vescovo di Roma», chiamato da Dio «per custodire l’unità della Chiesa Universale e per incoraggiare nella carità il percorso di tutte le Chiese particolari, perché progrediscano nella conoscenza, nella fede e nell’amore di Cristo». «Non mi sta a cuore dirvi cosa fare, perché sappiamo tutti quanto ci chiede il Signore – ha detto il Papa – preferisco piuttosto ritornare ancora su quella fatica - antica e sempre nuova - di domandarsi circa le strade da percorrere, sui sentimenti da conservare mentre si opera, sullo spirito con cui agire». Un discorso importante dunque quello ai vescovi degli Stati Uniti improntato alla cifra della conversione pastorale e nel quale il Papa anzitutto esprime la sua vicinanza e compagnia perché nessuno "si senta escluso dall'abbraccio del Papa", quindi le sue riflessioni riguardo all’essenza dell’identità episcopale al servizio, «Pastore delle nostre anime», richiama alla comunione e «all’imperativo dell’unità» e focalizza gli «aspetti irrinunciabili» della missione. Chiede di essere vicini alla gente e raccomanda l’accoglienza ai migranti. «L’essenza della nostra identità episcopale» L’essenza risiede «nell’assiduo pregare, nel predicare e nel pascere». La preghiera «non può essere una preghiera qualsiasi ma l’unione familiare e quotidiana con Cristo». La predicazione non «una predicazione di complesse dottrine, ma l’annuncio gioioso di Cristo, morto e risorto per noi» che susciti quindi «l’esperienza del “per noi” di quest’annuncio». Pascere non è pascere se stessi «guardare il basso della propria autoreferenzialità» ma «saper arretrare, abbassarsi, decentrarsi, per nutrire di Cristo la famiglia di Dio» verso gli orizzonti di Dio che «oltrepassano quanto si è capaci di prevedere o pianificare». È necessario quindi sempre «vegliare su noi stessi, per sfuggire alla tentazione del narcisismo, che acceca gli occhi del pastore, rende la sua voce irriconoscibile e il suo gesto sterile». «Guai a noi – ha così aggiunto Francesco citando San Paolo – se facciamo della Croce un vessillo di lotte mondane, dimenticando che la condizione della vittoria duratura è lasciarsi trafiggere e svuotare di se stessi». Dopo aver evidenziato lo spirito con cui ogni vescovo è chiamato ad agire, Francesco ne indica le modalità. «Il dialogo è il nostro metodo» Il Papa evidenzia che i vescovi sono i fautori della cultura dell’incontro perché «siamo sacramenti viventi dell’abbraccio tra la ricchezza divina e la nostra povertà. Siamo testimoni dell’abbassamento e della condiscendenza di Dio che precede nell’amore anche la nostra primigenia risposta». Citando l’evangelista Matteo così afferma: «Il dialogo è il nostro metodo, non per astuta strategia, ma per fedeltà a Colui che non si stanca mai di passare e ripassare nelle piazze degli uomini fino all’undicesima ora per proporre il suo invito d’amore». La via pertanto è il dialogo «tra di voi, nei vostri presbiteri, con il laici, con le famiglie, con la società». E sottolinea che i fratelli da raggiungere e riscattare, con la forza e la prossimità dell’amore, «contano più di quanto contano le posizioni che giudichiamo lontane dalle nostre pur autentiche certezze». Perciò anche «il linguaggio aspro e bellicoso della divisione non si addice alle labbra del pastore». Anzi, «non ha diritto di cittadinanza nel suo cuore». Tale linguaggio, infatti, «benché sembri per un momento assicurare un’apparente egemonia, solo il fascino durevole della bontà e dell’amore resta veramente convincente». Francesco ricorda ai vescovi di imparare da Cristo l’umiltà e la mitezza dell’agire. La missione si svolge in comunione È questo un altro punto importante riguardo alla modalità dell’agire dei vescovi evidenziato dal Papa. «È già tanto dilaniato e diviso il mondo! La frammentazione è ormai di casa ovunque. Perciò, afferma il Papa «la Chiesa, “tunica inconsutile del Signorenon può lasciarsi dividere, frazionare o contendere». «La grande missione che il Signore ci affida, noi la svolgiamo in comunione, in modo collegiale». È pertanto «parte essenziale della vostra missione episcopale «offrire agli Stati Uniti d’America l’umile e potente lievito della comunione». Il servizio dei vescovi all’unità è un imperativo «La nostra missione episcopale è primariamente cementare l’unità, il cui contenuto è determinato dalla Parola di Dio e dall’unico Pane del Cielo, con cui ognuna delle Chiese a noi affidate resta Cattolica, perché aperta e in comunione con tutte le Chiese particolari e con quella di Roma che “presiede nella carità”». «L’umanità deve sapere» ha ribadito il Papa riprendendo la Lumen gentium «che l’essere abitata dal “sacramento di unità” è garanzia che il suo destino non è l’abbandono e la disgregazione». «È un imperativo» ha affermato il Papa «vegliare per tale unità, custodirla, favorirla, testimoniarla come segno e strumento che, al di là di ogni barriera, unisce nazioni, razze, classi, generazioni». Un servizio all’unità che è particolarmente importante per gli Stati Uniti, dove s’impongono «responsabilità morali non indifferenti in un mondo frastornato e faticosamente alla ricerca di nuovi equilibri di pace, prosperità ed integrazione». Aspetti irrinunciabili della missione «Le vittime innocenti dell’aborto, i bambini che muoiono di fame o sotto le bombe, gli immigrati che annegano alla ricerca di un domani, gli anziani o i malati dei quali si vorrebbe far a meno, le vittime del terrorismo, delle guerre, della violenza e del narcotraffico, l’ambiente devastato da una predatoria relazione dell’uomo con la natura, in tutto ciò è sempre in gioco il dono di Dio, del quale siamo amministratori nobili, ma non padroni». Non è lecito per il Papa evadere da tutte queste questioni. «Il futuro della libertà e della dignità delle società dipende dal modo in cui sapremo rispondere». «Siate prossimi, servitori e accoglienti» «A questo fine, è molto importante che la Chiesa negli Stati Uniti sia anche un focolare umile che attira gli uomini mediante il fascino della luce e il calore dell’amore». Se questo viene meno ha sottolineato Francesco «si rischia di diventare cultori di cenere e non custodi e dispensatori della vera luce e di quel calore che è capace di riscaldare il cuore». Due infine le raccomandazioni con le quali il vescovo di Roma ha concluso il suo discorso ai vescovi degli Stati Uniti. La prima: «Siate pastori vicini alla gente, pastori prossimi e servitori». La seconda viene dalla realtà dell’immigrazione che investe anche oggi le diocesi americane: «Accogliete senza paura i migranti».
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