martedì 10 novembre 2015
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Papa Francesco è arrivato poco dopo  le 10 al Duomo di Firenze, accolto dai cardinali Bagnasco e Betori. Pieno al limite della sua capienza, per raggiungere l'altare della Cattedrale di Santa Maria del Fiore, Bergoglio ha impiegato alcuni minuti, accompagnato da un continuo applauso da parte di migliaia di persone, dei cardinali e dei tanti partecipanti al Convegno ecclesiale nazionale. Durante il suo percorso, nella navata centrale della Cattedrale, il Papa si è soffermato a più riprese stringendo mani e accarezzando alcune teste, soprattutto di bambini e malati. Poi, il Papa ha preso posto sulle sedie sistemate davanti all'altare maggiore. Il primo a prendere la parola è stato il presidente della Cei, Angelo Bagnasco, per un breve saluto. "Questo nostro Convegno Ecclesialevuole esprimere e esprime la sinodalità della Chiesa italiana", ha esordito il cardinale. "Senta di poter contare sulla nostra cordiale vicinanza e sulla obbediente e piena collaborazione. Un affetto che nei momenti di maggiore prova è chiamato a manifestarsi in maniera ancora più convinta e concreta". "La ringraziamo - ha continuato - per la sua presenza tra noi come per l'autorevole parola che ci rivolgerà: sono segni della Sua prossimità di Pastore. Grazie perchè, anche con ilsuo esempio, non finisce di incoraggiarci a uno spirito più autentico, disinteressato e gioioso. Questi giorni di preghiera, confronto e progettualità ci aiutino a far nostre le Sue indicazioni e a crescere nella testimonianza del Signore". Poi è stata la volta delle testimonianze. Qui di seguito una sintesi.

Francesca Masserelli, battezzata da adulta

"Abito in un piccolo paese ai piedi delle Valli di Lanzo nella provincia di Torino. Fin da piccola ho sempre desiderato incontrare Gesù anche se i miei genitori presero la decisione di non battezzarmi... Questa particolarità ha reso ancora più consapevole il mio cammino di fede. In primis vorrei ringraziare la mia famiglia per avermi aiutato ad essere la persona che sono oggi. I miei genitori per avermi dato la vita, per essermi stati di esempio su cosa vuole dire “amarsi per tutta la vita” prendendosi cura con amore e impegno dei propri figli, cercando di non far mai mancare nulla e dando loro il vero “pane quotidiano”: anima, cuore, fede e speranza. (...) In questo ultimo anno ho dovuto affrontare diverse difficoltà: dapprima con la malattia di mio papà ci siamo sentiti tutti malati e infine con la sua morte è come se fossimo morti tutti, annegati in un “oceano-mare di lacrime”. Il dolore è stato forte e la tristezza immensa, in alcuni momenti inconsolabile. (...) Ho sofferto molto e tutt’ora mio papà mi manca tanto. Patisco di non avere più con lui un contatto, un abbraccio e cerco sempre nelle mie preghiere il suo sostegno. Sul letto di morte avrei voluto dirgli: “Babbo non avere paura. La morte non è la fine di tutto, ma ora stai per incominciare un lungo viaggio a vele spiegate per approdare un giorno in un porto sicuro, e là incomincerai una nuova vita, quella vera. Spero con tutto il cuore che quando ci rivedremo il nostro abbraccio sarà un abbraccio infinito, per l’eternità, e sarà compreso in un abbraccio più grande quello con il Signore che tutto può e tutto perdona se nei nostri cuori c’è il desiderio”. Sono fortunata di aver ricevuto i sacramenti, insieme alla mia bambina, nella Pasqua del 2015 perché è stato per noi come rinascere “a nuova vita”. Diventare cristiani è una gioia, ma anche un impegno che comporta fatica. Inoltre voglio ringraziare la Vergine Maria che da mamma ha sempre vegliato sulla mia piccola bambina, dono del Signore. Che il Signore illumini sempre la nostra via". Pierluigi e Gabriella Proietti, Centro di formazione e pastorale familiare Betania - Roma

PIERLUIGI: Ci siamo conosciuti nel 1992, subito dopo il crollo definitivo dei precedenti rispettivi matrimoni durati circa 10 anni. Io ho un figlio trentatreenne nato dal primo matrimonio, che ora è sposato e ha due bambine; mentre Gabriella ha una figlia trentaquattrenne. Due matrimoni nati e vissuti senza consapevolezza del sacramento, senza maturità e domande di senso. Matrimoni finiti, vivendone la crisi in solitudine e senza sostegni. Dopo il terremoto della separazione, eravamo entrambi alla ricerca di un orientamento e di un fondamento di senso per la nostra vita e di modi per alleviare le sofferenze dei nostri figli. GABRIELLA: In questa ricerca, una coppia di sposi, “rivestita anche lei di debolezza” (cfr. Eb 5,2), si è fatta vicina, ha versato sulle nostre ferite il balsamo dell’accoglienza e poi ci ha “consegnato” alla Chiesa, la locanda dell’umanità ferita, perché ci curasse. PIERLUIGI: In questo sofferto periodo ci siamo incontrati. Entrambi abbiamo deciso di fidarci di una Chiesa che, come madre sapiente, dopo averci accolto e consolato, ci ha istruito sul da farsi, fino ad accompagnarci nel vagliare la eventuale nullità dei nostri precedenti matrimoni. GABRIELLA: Le cause di nullità, vissute con l’obiettivo di conoscere quale fosse la volontà di Dio per noi, sono state una dolorosa opportunità per rivisitare le motivazioni che ci avevano spinto a contrarre i nostri precedenti legami matrimoniali. Dopo otto anni, entrambe le “difficili” cause di nullità si sono concluse con una sentenza affermativa. PIERLUIGI: Nel 2000, quando i figli erano ormai maggiorenni, ci siamo sposati con matrimonio concordatario. Il nostro è stato però un ricominciare da quattro e non da due. Il nuovo percorso di vita matrimoniale, infatti, si presentava in salita per le conseguenze del precedente fallimento, sia sulla fiducia nella vita di coppia, sia sulla crescita sana dei nostri figli. GABRIELLA: Così, a partire dal 2001, su suggerimento di questi nostri “tutor”, è iniziato per noi, come sostegno alle difficoltà della nostra nuova situazione, un percorso formativo che da allora non ha più avuto fine: Parola di Dio, sacramenti, preghiera, studio, lavoro su noi stessi. PIERLUIGI: Tutto ciò ha gradualmente trasformato i nostri rapporti, quello di coppia, come quello delicato e difficile con i nostri figli, oggi risanato, ricco di comunione, impreziosito anche da due splendide nipotine. Abbiamo così sperimentato e toccato con mano quanto la misericordia di Dio e la fiducia che ha in ognuno di noi superi la povertà della nostra creaturalità ferita. GABRIELLA:. È così maturata, una chiamata a mettere la nostra competenza unita alla nostra esperienza personale, al servizio di chi vive situazioni di crisi, incomprensione, incomunicabilità, all’interno del rapporto di coppia o del rapporto genitori/figli, e anche per chi si trova già in situazione di separazione. PIERLUIGI: Il Centro di formazione familiare Betania di Roma, in cui operiamo da diversi anni, sostiene e accompagna le coppie ferite, attraverso un ascolto amorevole e la riscoperta della relazionalità e dell’alleanza nella coppia. Offre inoltre un percorso formativo per i coniugi, che integra antropologia cristiana, scienze umane e lavoro su sé stessi, fornendo così strumenti per una pastorale familiare incisiva ed efficace che le coppie formate potranno svolgere tornando nelle proprie parrocchie. GABRIELLA: In sintesi, la nostra esperienza è quella di persone che, percosse dalla vita e abbandonate sul ciglio della strada, hanno conosciuto l’amore e la tenerezza di un “samaritano”, che le ha affidate a Cristo che solo può guarire nel profondo. PIERLUIGI: Forse, proprio in virtù della nostra storia, il Signore ci ha chiamati a restituire a nostra volta ciò che quel samaritano un giorno ha fatto per noi. Osiamo così sperare che le nostre ferite divenute feritoie di luce, possano contribuire a generare un nuovo umanesimo. Bledar Xhuli, il sacerdote ex profugo

"Caro Papa Francesco, mi chiamo Bledar Xhuli. Sono qui per raccontare come nella mia vita ho incontrato Cristo. Nato a Fier in Albania in una famiglia atea, dopo il crollo della dittatura i miei genitori, che lavoravano per lo stato, hanno perso il lavoro non c’era nessuna prospettiva per il futuro. Nel 1993, a 16 anni, ho quindi deciso di partire per lavorare in Italia, per realizzare un sogno e poi tornare in Albania. Con un passaporto falso attraversai l’Adriatico su una nave pensando di trovare facilmente un lavoro e una casa, ma presto scoprii che così non era. Il fatto di essere clandestino e minorenne non migliorava la situazione. Girando per varie città d’Italia dormivo all’aperto nelle stazioni ferroviarie. Mi fermai a Firenze dove un compaesano mi disse che c’era la possibilità di mangiare e dormire gratis: infatti dormivamo sotto un ponte lungo il Mugnone e mangiavamo alla mensa della Caritas. Giravo tutto il giorno per cercare lavoro, ma senza documenti era impossibile. Suonavo nelle chiese per chiedere l’elemosina e un aiuto. La notte spesso non riuscivo a dormire per il freddo e l’umido, ma anche perché mi trovavo in una situazione peggiore di prima: e non potevo tornare indietro a causa dei tanti soldi presi in prestito per l’attraversata. Di nascosto dagli altri, la notte piangevo e gridavo la mia disperazione. Dio ascoltò la voce di un disperato. Un giorno, il 2 dicembre 1993 - bussai alla chiesa di san Gervasio, non per chiedere l’elemosina, ma per ritirare una lettera. Il prete, don Giancarlo Setti, cominciò a chiedermi chi fossi e cosa facevo. Non mi diede l’elemosina, ma si interessava a me. Quando gli dissi che dormivo sotto il ponte e che avevo sedici anni, non riusciva a crederci. Cominciò a telefonare per chiedere aiuto a delle persone che conosceva ma la questione non era facile. Mi disse di tornare il giorno dopo promettendomi di trovare una soluzione. Il giorno, non avendo trovato niente, mi disse: “per me ha bussato Gesù, per cui vieni e stai in casa mia”. Mi fece entrare ed abitare nella sua casa, come un figlio non per un giorno o un mese, ma per quasi dieci anni fino al 2002 anno in cui mori, in seguito ad una grave malattia. Una generosità e accoglienza che mi hanno sconvolto. E mi fece capire una grande verità: ero clandestino, non ero un delinquente. È stato il primo incontro con Cristo sebbene non ne ero consapevole. Grazie a lui trovai un lavoro come benzinaio, e ripresi gli studi diplomandomi come ragioniere. Iscritto poi alla facoltà di Scienze Politiche, ho continuato a lavorare come manager in una multinazionale. Abitando in una parrocchia frequentavo i ragazzi della mia età; la domenica alle 11 tutti sparivano e andavano in chiesa. Ci andai anche io, per non rimanere solo. La messa mi piacque molto, specialmente le Letture che non conoscevo, e i canti che mi rallegravano il cuore e mi ricordavano gli affetti lontani. Alla seconda messa cui partecipavo seguendo l’esempio degli altri mi misi in fila per la comunione che il sacerdote mi negò e ci rimasi molto male. Quando gli chiesi il perché in sagrestia, mi rispose perché non ero battezzato. Volevo ricevere subito il battesimo per fare la comunione, ma mi rispose che non era possibile: bisognava fare la preparazione e il catechismo! Accettai con tanta gioia e tutte le sere quando tornavo dal lavoro e dalle scuole serali facevo anche un ora di catechismo. La notte della Pasqua del 1994 ricevetti il battesimo, la cresima e la comunione secondo il rito degli adulti. Altro incontro con Cristo. Scoprii gradualmente che il battesimo era un inizio nuovo. L’inizio di un cammino spirituale, che passando dallo studio e dal lavoro, mi ha portato a scoprire la vocazione al sacerdozio durate il giubileo del 2000. “Finisci l’università che hai iniziato, e nel frattempo verificherai la tua chiamata. Dio non ha fretta - mi disse don Setti - spesso siamo noi che non abbiamo pazienza”. Purtroppo il 22 settembre del 2002, lui mori. Seguendo il suo consiglio, dopo la laurea, sono entrato nel seminario diocesano, dove ho vissuto 7 anni meravigliosi di preghiera, studio e fraternità. Dal 11 aprile 2010 sono sacerdote della chiesa di Firenze. Per 5 anni sono stato viceparroco a San Casciano, accolto come in una famiglia dal parroco e dalla comunità. Da gennaio di quest’anno sono parroco di Santa Maria a Campi, una comunità vivace e generosa, dove non manca né il lavoro pastorale né quello spirituale. Come tutti i sacerdoti cerco di servire il Signore e i fratelli nella gioia e nella fatica quotidiana di vivere il monito ricevuto il giorno dell’ordinazione diaconale, quando il vescovo consegnandomi il vangelo ha detto: vivi ciò che insegni! Nell’affetto, nella vicinanza e nella preghiera di tante persone e famiglie ho incontrato Cristo: ho il cuore pieno di gratitudine, pur sperimentando spesso la difficoltà a contraccambiare tanta generosità. Le voglio dire grazie di cuore, allargando il respiro di questo convegno della chiesa italiana in ottica internazionale, per il suo viaggio in Albania. Ha incoraggiato non solo la chiesa ma l’intero paese a volare alto come le aquile. Visto il titolo del Convegno della nostra chiesa italiana in Cristo il nuovo umanesimo, tornando alle parole che diceva don Setti “ per me ha bussato Cristo”, dopo 22 anni posso affermare - caro Papa Francesco - che Cristo non era presente in chi bussava, ma in chi ha aperto la porta. E ancora oggi, alle soglie dell’apertura dell’anno Giubilare della Misericordia ripete alla sua Chiesa e al mondo: “bussate e vi sarà aperto”.

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