domenica 2 settembre 2018
Il rione di Palermo dove il prete beato è stato ucciso si rialza nonostante il degrado, la mancanza di lavoro e l’illegalità. Scuole, sportelli sociali, campi sportivi: semi di speranza e riscatto
COMMENTA E CONDIVIDI

Si fa fatica a pensare che fino a due anni fa fosse un rudere, adesso che è un piccolo gioiello architettonico in mezzo alle palazzine cadenti e agli anonimi condomini della periferia di Palermo. Eppure, prima che diventasse il centro di aggregazione per anziani, il “Mulino del sale” – come tutti chiamano questo edificio – era ridotto a un cumulo di macerie: poche le mura rimaste in piedi, solo qualche indizio del tetto crollato e una recinzione trascurata che tentava di proteggere quanto restava. Oggi, non appena si varca il grande portone in legno, danno il benvenuto a chi entra le immagini di padre Pino Puglisi e le foto di un passato ormai archiviato.

E l’ex macinatoio è diventato uno dei simboli della rinascita di Brancaccio, il quartiere segnato dalla mafia, dal degrado, dall’emarginazione. Semi di speranza che stanno cambiando un agglomerato dimenticato e che sono tutti scaturiti dalle intuizioni di don Puglisi. Perché fra queste vie dissestate il “prete del sorriso” è nato, ha vissuto, è stato parroco e di fronte alla casa di famiglia è stato ucciso 25 anni fa per aver fatto tremare Cosa Nostra con la sua tenacia e la convinzione che il Vangelo dovesse tradursi in riscatto sociale. Il mite “rivoluzionario” ha aperto la strada durante i tre anni in cui ha guidato la parrocchia di San Gaetano prima di essere assassinato su mandato dei fratelli Graviano, i boss della zona. E il suo martirio – che ne ha fatto il primo beato della Chiesa ammazzato dalla mafia – ha portato frutti. In parte per mano delle istituzioni; in maniera ben più consistente grazie al coraggio del Centro Padre Nostro, il presidio fondato da Puglisi poco dopo essere tornato come sacerdote nel suo rione d’origine.

Se adesso a Brancaccio c’è una scuola media (intitolata proprio al prete di frontiera) o è appena stato inaugurato un campetto da calcio a due passi dal luogo in cui il sacerdote è morto nel giorno del suo 56° compleanno, il 15 settembre 1993, lo si deve al Comune. Ma se oggi il quartiere può contare su sportelli di assistenza, poli sportivi, un auditorium, il doposcuola, strutture per il recupero di detenuti o per l’accoglienza delle famiglie in difficoltà, il centro anziani o persino una piscina, è merito di quel laboratorio di carità sociale e civile nato dalla mente del beato che declina nel quotidiano la sua eredità e che mobilita più di cinquanta volontari insieme a quindici giovani in servizio civile. «Siamo un avamposto dello Stato in un abitato in cui lo Stato è mancato», sostiene il presidente del Centro Padre Nostro, Maurizio Artale. E scherza: «Dal 1991 i punti di riferimento sono il nostro Centro e la malavita... Prima era soltanto la malavita».

Ottomila le famiglie che abitano a Brancaccio. In maggioranza marchiate dall’esperienza del carcere, dalla povertà, dalla mancanza di lavoro, dall’abbandono scolastico. «Ma non sono solo i bisogni materiali l’urgenza. La nostra priorità è sostenere le famiglie a 360 gradi, in particolare nel loro compito educativo che le vede spesso latitare», afferma Valentina Caruso. Lei è la responsabile di un’autentica “palestra” formativa creata dal Centro negli scantinati dei casermoni che dominano la borgata. In cinque stanze si alternano fra mattina e pomeriggio lo “Spazio giochi” per i piccoli con meno di tre anni, le attività del recupero scolastico, il gruppo giovani. Quasi centocinquanta i bambini e i ragazzi che ci orbitano intorno ogni settimana. «Nel quartiere – racconta Valentina – i genitori non sono in grado di insegnare ai figli neppure un numero o una lettera. E ripetono loro: “Studiare non serve, andate a fare qualcosa”. Ecco perché è essenziale proporre una sorta di cassetta degli attrezzi che aiuti i giovani a orientarsi nelle scelte, come voleva padre Puglisi. Del resto lui aveva capito che occorre partire dai ragazzi se si intende scalfire una mentalità pervasa dall’illegalità e dalla violenza».

Sono seicento i nuclei familiari seguiti dal Centro. «Assieme a loro viviamo le carenze e le miserie ma lottiamo uniti perché il futuro sia migliore», confida la psicologa Laura Stallone, da più di venti anni volontaria nel quartiere. Aggiunge Artale: «Per don Pino interessarsi delle fogne o dell’illuminazione pubblica significava abbracciare l’opzione per gli ultimi. Potremmo dire che la sua chiesa era la strada e i suoi prediletti la povera gente. In questa periferia esistenziale teniamo viva la sua opera». In mille modi. Con il banco alimentare o distribuendo farmaci; progettando un asilo nido, ultimo sogno di “3P”; offrendo gratis un avvocato; impiantando un centro polivalente sportivo che viene usato anche dalle classi di due scuole di Brancaccio dove non c’è traccia di una palestra; dando una chance ai carcerati. «Chiunque, soprattutto gli studenti, dovrebbe visitare un penitenziario e incontrare chi ci è recluso per capire che cosa sia la delinquenza», sostiene Matilde Foti, volontaria che guida i visitatori nella casa-museo di padre Puglisi. All’ingresso, nel punto in cui il parrinu è stato ucciso, si fermerà in preghiera papa Francesco il 15 settembre. «Consideriamo la sua visita un miracolo e una grazia – osserva Matilde –. E la leggiamo come un riconoscimento a chi si impegna fra fatiche e intimidazioni a trasformare un minuscolo angolo di mondo com’è Brancaccio».

Certo, la scommessa di “redimere” l’ex bunker di Cosa Nostra è costellata di atti vandalici o minacce di morte. Più di centoventi le denunce che il Centro ha presentato negli ultimi anni. «È innegabile che ci sia un segmento dell’agglomerato ancorato a logiche del passato. Ma tocchiamo con mano che in tanti, in tantissimi desiderano lasciarsi alle spalle una storia legata alla criminalità organizzata», dice Valeria Mandalà. È la psicoterapeuta socia del Centro Padre Nostro a disposizione della comunità. O meglio, di tutta Palermo. «Brancaccio è visto dalla città ancora come uno scarto – ammette –. Solo chi ci risiede o è costretto a venirci arriva qui. Per certi versi resta un ghetto. Rompere l’isolamento è fondamentale». E Artale avverte: «La mafia non tollera che il quartiere si apra all’esterno dal momento che ciò comporta la perdita di controllo del territorio. Invece l’affrancamento di Brancaccio passa sia dal dialogo oltre i suoi confini, sia dalla consapevolezza che la cultura criminale attecchisce dove mancano scuole o luoghi di aggregazione». Che padre Puglisi immaginava. E che nel 2018, dopo un quarto di secolo dal suo martirio, finalmente ci sono.


COME CONTRIBUIRE AL NUOVO ASILO DEDICATO A PADRE PUGLISI


Un gesto concreto di solidarietà per celebrare il 25° anniversario del martirio del beato Pino Puglisi, il prete siciliano ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993 di fronte alla sua casa di Palermo. Il Centro di Accoglienza Padre Nostro, voluto dallo stesso padre Puglisi nel capoluogo siciliano, e la Fondazione Giovanni Paolo II, insieme con l’arcidiocesi di Palermo, il Comune di Palermo e Avvenire intendono realizzare l’ultimo sogno del sacerdote “profeta” per il suo quartiere Brancaccio a Palermo: la costruzione del nuovo asilo nido. Posiamo insieme la prima pietra.

È possibile contribuire al “sogno” di padre Pino Puglisi attraverso:
- bonifico bancario intestato a Fondazione Giovanni Paolo II utilizzando il seguente IBAN IT84U0503403259000000160407 (va inserito anche l’indirizzo di chi versa nel campo causale);
- bollettino sul conto corrente postale n. 95695854 intestato a Fondazione Giovanni Paolo II, via Roma, 3 - 52015 Pratovecchio Stia (AR). Causale: “Asilo Don Puglisi”;
- carta di credito o PayPal sul sito www.ipiccolidi3p.it.
Partecipa al progetto con la tua parrocchia o associazione, con i tuoi familiari o amici. Facendo una donazione si avrà diritto alle agevolazioni fiscali previste dalla legge. I dati saranno trattati ai sensi dell’art.13, regolamento europeo 679/2016 (c.d. “GDPR”).



© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: