giovedì 15 luglio 2021
Testimone della Chiesa del silenzio e della lenta ma costante crescita della comunità dei credenti in Cristo in questa terra d'Asia. Arrivò su richiesta delle suore di Madre Teresa di Calcutta
Padre Toni Vendramin

Padre Toni Vendramin - Pime

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«Venire qui in Cambogia è stata per me un’esperienza molto profonda. Non ho mai avuto rimpianti. Per me è stato come rinnovare la mia vocazione». Li raccontava così i suoi trent’anni di missione a Phnom Penh padre Toni Vendramin, missionario del Pime, scomparso l’altra sera nella capitale cambogiana all’età di 78 anni per le conseguenze di una polmonite batterica. Con lui se n’è andato un testimone diretto di una pagina davvero unica della storia di questa piccolissima Chiesa dell’Asia, segnata dalle sofferenze profonde inflitte dalla follia ideologica dei khmer rossi. Nel novembre 1990 padre Vendramin era stato il primo sacerdote a poter rientrare stabilmente nel Paese dopo l’incubo della persecuzione di Pol Pot.

A ottenere questo dono prezioso erano state ancora una volta le suore di Madre Teresa, che erano state invitate ad aprire una presenza in Cambogia dal primo ministro Hun Sen, che in quel periodo cominciava a provare a riaprirsi il regime al mondo con le prime timide aperture. La Missionarie della Carità posero come condizione la presenza di un prete per celebrare con loro la Messa ogni giorno. E fu così che le porte si aprirono anche per padre Toni, originario di Badoere nella provincia e diocesi di Treviso e con alle spalle già 15 anni di missione in Bangladesh.

Non furono anni semplici: non c’erano chiese, gli unici altri due preti nel Paese ufficialmente erano lì come cooperanti e per periodi limitati, al missionario del Pime non era permesso di allontanarsi oltre un raggio di 20 chilometri da Phnom Phen. E poi c’erano le ferite profonde lasciate dall’orrore del genocidio che la Cambogia aveva vissuto. Con pazienza padre Vendramin ha accompagnato la rinascita di una comunità. La sua gioia più grande fu quella di poter celebrare il Natale 1990 in un’ala del vecchio Seminario restituita appena quindici giorni prima per tornare a essere una chiesa.

«Due settimane di intenso lavoro, anche di notte, per pulire, riparare, imbiancare, tirare la linea elettrica – scriveva in quei giorni padre Vendramin in una lettera –. Così dopo sedici anni di silenzio, la comunità cristiana ha potuto celebrare liberamente la festa della nascita del Redentore. A Natale ho visto non solo la gioia, ma anche il coraggio ritrovato, la fierezza di avere la “loro” chiesa».

Da quel seme in questi trent’anni la Chiesa cambogiana lentamente è rinata, grazie anche al contributo del Pime che oggi nel Paese conta dieci missionari. E padre Toni con grande semplicità ha accompagnato questo cammino, negli ultimi anni come parroco della chiesa di San Pietro, ma anche andando a visitare i carcerati.

«A Phnom Penh oggi tutto è cambiato -–ci raccontava qualche tempo fa –. Dove c’erano solo due o tre strade asfaltate oggi ci sono grattacieli di 40 piani costruiti dai cinesi. Ma in tutte le missioni oggi c’è l’asilo, a volte la scuola elementare, insieme a strutture di base, case per i disabili, altre iniziative sociali. La città è cresciuta, ma a piccoli passi sta crescendo anche questa piccola nostra Chiesa».

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