venerdì 25 marzo 2022
Pubblicazione del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale. Il papa Francesco: la Chiesa non distingue tra autoctoni e stranieri, siamo tutti pellegrini sulla Terra
L’arrivo di migranti nel porto spagnolo di Malaga

L’arrivo di migranti nel porto spagnolo di Malaga - Ansa

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Non dimenticare mai che lo «sradicamento prolungato» dalla propria terra, ossia il migrare verso altri Paesi per i più svariati motivi, ma che portano tutti alla scelta di allontanarsi dalle proprie radici, dal contesto sociale e culturale dove si è nati e cresciuti, è sempre un «dramma». E che la risposta a questo dramma da parte della comunità cristiana deve far perno su quattro verbi: «Accogliere, proteggere, integrare e promuovere i nostri fratelli e le nostre sorelle».

A ricordarlo è papa Francesco nella prefazione a un documento elaborato dalla Sezione migranti e rifugiati del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, intitolato Orientamenti sulla pastorale migratoria interculturale. È un testo nato in seguito a una serie di incontri tra rappresentanti del dicastero vaticano e di Conferenze episcopali, congregazioni religiose e altre realtà cattoliche per approfondire il tema scelto da Bergoglio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2021, «Verso un noi sempre più grande».

Per Francesco questi Orientamenti «invitano ad ampliare il modo in cui viviamo l’essere Chiesa», indicandoci la possibilità «di vivere una nuova Pentecoste nei nostri quartieri e nelle nostre parrocchie, prendendo coscienza della ricchezza della loro spiritualità e delle loro vibranti tradizioni liturgiche». E indicandoci «un’occasione per vivere una Chiesa autenticamente sinodale, in cammino, non statica, mai soddisfatta: una Chiesa che “non fa distinzione tra autoctoni e stranieri, tra residenti e ospiti”, perché in questa terra siamo tutti pellegrini».

Gli Orientamenti sono divisi in sette capitoli – più una conclusione – che partono da un riferimento scritturistico, seguito da una «sfida» con una relativa «risposta» pastorale, articolata in più punti (sul sito de dicastero è disponibile anche un allegato con una serie di esperienze ecclesiali che possono fare da modello).

«Nei Paesi dove i flussi migratori sono notevoli, in molte comunità cattoliche esiste un’ampia percentuale di migranti – si legge per esempio in una di queste «sfide» – in alcuni casi, quasi tutti i parrocchiani sono stranieri, inoltre, in alcune diocesi, l’amministrazione dei sacramenti e dei servizi pastorali dipende già da sacerdoti che vengono dall’estero. Tuttavia, raramente questa [percentuale] viene vista come una benedizione, come un’occasione propizia per far rifiorire la vita ecclesiale, particolarmente laddove, a causa del secolarismo, il deserto spirituale avanza minacciosamente».

Non è così ovviamente ovunque, in molte lande europee c’è un grande riconoscimento per il contributo portato alle inaridite comunità locali da fedeli provenienti dall’Africa o Paesi asiatici di robusta tradizione cattolica come le Filippine.

Ma laddove non ci sia questo sentimento, gli Orientamenti suggeriscono alcune soluzioni, per esempio: «preparare i migranti cattolici ad essere veri missionari nei paesi di arrivo», missione che «dovrebbe essere riconosciuta, promossa e sostenuta attraverso un’efficace cooperazione interecclesiale»; coinvolgere i migranti cattolici «nei consigli pastorali parrocchiali, nei consigli economici e in altre responsabilità pastorali»; «sviluppare programmi catechistici e pastorali innovativi che tengano conto della presenza significativa di bambini e giovani di seconda generazione e delle dinamiche interculturali che possono portare all’interno delle comunità locali»; e «offrire una formazione specifica ai sacerdoti stranieri che prestano servizio nelle comunità locali, in modo da renderli mediatori capaci di promuovere un’integrazione rivitalizzante tra fedeli locali e nuovi arrivati».

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