martedì 1 marzo 2022
Tareq Abu Hamed, primo palestinese a capo di una istituzione israeliana di ricerca: «La scienza, per me musulmano, è fondamentale per costruire legami di umanità»
Tareq Abu Hamed, direttore dell'Arava institute  di Gerusalemme

Tareq Abu Hamed, direttore dell'Arava institute di Gerusalemme

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Servono «soluzioni integrate per evitare cambiamenti climatici catastrofici» e si deve «agire è ora» perché vi è una «forte connessione» tra i «flussi migratori e cambiamento climatico, che colpisce in maniera accentuata il Mar Mediterraneo». L’allarme per la crisi climatica è uno dei passaggi chiave della Carta di Firenze, sottoscritta sabato a Palazzo Vecchio. Una preoccupazione che per Tarq Abu Hamed è diventato strenuo impegno professionale. Primo palestinese a dirigere una istituzione accademica israeliana, l’Arava institute for environmentwl studies, questo cinquantenne con due lauree in tasca e lo sguardo mite ha partecipato alla sessione del forum dei sindaci dedicata alle emergenze ambientali.

Tareq Abu Hamed, qual è la sfida ambientale maggiore per il Mediterraneo?
È il cambiamento climatico. La popolazione sta crescendo e il Mediterraneo si sta scaldando, la temperatura media si è alzata di 1,6 gradi centigradi: le città del Mediterraneo diverranno sempre più calde, e questo impatterà sulle precipitazioni di anno in anno più scarse. Nel Mediterraneo orientale presto avremo il 30% di pioggia in meno e un aumento della temperatura fino a 5 gradi centigradi e quindi meno ossigeno nell’acqua: le acque più calde provocheranno migrazioni di pesci dal Mar Rosso al Mediterraneo, l’aumento del diossido di carbonio nella acque ne diminuirà l’acidità con ricadute su coralli e sui pesci. L’innalzamento della temperatura causerà migliaia di morti dove non ci sono ancora sufficienti impianti di aria condizionata. Nel Mediterraneo orientale invece ci sono molti più condizionatori, ma siamo un’isola dal punto di vista energetico: un cyber-attacco su Israele, ad esempio, lascerebbe migliaia di persone al caldo torrido. In molte regioni mediterranee europee, come orientali, la povertà energetica è uno degli argomenti topici. Inoltre la crisi climatica avrà ricadute in tutta la regione del delta del Nilo. Si prevede una forte ricaduta sull’agricoltura nel delta del Nilo: 25 milioni di persone potrebbero essere colpite da insicurezza alimentare e generare nuove migrazioni. La sicurezza alimentare può riguardare anche alcune regioni dell’Italia mentre l’innalzamento delle acque alla fine di questo secolo, potrà riguardare almeno 20 grandi città del Mediterraneo.

Uno scenario drammatico. Come avviare una cooperazione tra le città su questi temi?
Le città devono investire in stabilità e integrazione umana e la sola via per combattere la crisi climatica è l’educazione. Dobbiamo cambiare stile di vita, di consumo e produzione di energia e di produzione del cibo, imparare a riutilizzare l’acqua. Le città devono lavorare insieme per mettere in comune le migliori pratiche. L’instabilità nel Mediterraneo non è locale, è di tutta la regione. Per ora ci sono molti accordi fra città, ma non c’è ancora cooperazione, una reale azione comune.

Come la sua identità religiosa coesiste con il suo lavoro?
Noi parliamo diverse lingue, abbiamo diverse religioni ma condividiamo la stessa regione. Tutte le religioni abramitiche condividono questo contenuto: essere umani. Il profeta Maometto dice: distruggere la Kaba, il luogo più santo, è meno grave che distruggere una vita umana. Il primo campo in cui si può costruire una vera cooperazione fra gli uomini, a mio parere, è il campo scientifico. La cooperazione scientifica, per me musulmano praticante, è fondamentale per costruire legami umani. Questa è la sfida di oggi, senza legami non si può costruire fiducia.

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