venerdì 7 luglio 2017
Luigi Caldera parroco a Cesano Boscone racconta l'amicizia con il neo arcivescovo di Milano Mario Delpini
Da sinistra Mario Delpini neo-arcivescovo di Milano, Franco Giulio Brambilla (attuale vescovo di Novara) e due compagni di seminario nell'anno scolastico 1971-2 in gita davanti all'isola di san Giulio sul lago d'Orta.

Da sinistra Mario Delpini neo-arcivescovo di Milano, Franco Giulio Brambilla (attuale vescovo di Novara) e due compagni di seminario nell'anno scolastico 1971-2 in gita davanti all'isola di san Giulio sul lago d'Orta.

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Si conoscono dagli anni in Seminario a Venegono, sono stati compagni di Messa in «quel lontano 7 giugno 1975 in cui ad imporci le mani a noi preti novelli fu l’allora cardinale in Duomo a Milano Giovanni Colombo» ma soprattutto a mantenere vivo il loro rapporto di «antica amicizia» è stata la capacità di ascolto tra un semplice parroco (“uno dei tanti preti badilanti” che costellano la diocesi ambrosiana come direbbe il cardinale Giacomo Biffi) dell’ «immenso hinterland milanese» e il vicario generale della diocesi ambrosiana «quello che rimarrà per me semplicemente “don Mario”».

A raccontare questa storia «di amicizia antica “senza se e senza ma”» con il neo arcivescovo di Milano Mario Delpini – da tratti particolari – è don Luigi Caldera parroco a Cesano Boscone, classe 1951. «Abbiamo vissuto fianco a fianco– racconta – le stesse classi del Seminario: i turbolenti anni del 1968, della contestazione studentesca. Ricordo ancora come “battezzammo” il nostro campo di calcio: lo dedicammo all’eroe della Primavera di Praga assediata dai russi Alexander Dubcek. Anche tra le austere mura di Venegono respiravamo in un certo senso lo stesso clima che si viveva nel Paese. Ricordo ancora una visita dell’allora arcivescovo il cardinale Colombo e le sue parole – pensando ai suoi anni da rettore a Venegono – : “Non è più il Seminario che ricordavo...”».

Anni che permisero al futuro don Caldera di conoscere “da vicino” quello che sarebbe diventato l’arcivescovo di Milano. «Se rammento bene conseguì la maturità classica nel 1970 con il massimo dei voti. Era già un primo della classe. Già allora aveva un debole per la lingua e letteratura greca e ovviamente per il latino». E aggiunge un particolare: «Già da allora si intravedeva la sua passione che maturerà negli anni della sua formazione universitaria per i padri della Chiesa e per le questioni attinenti al spiritualità cristiana in Russia». Don Caldera torna con la mente al giorno della sua ordinazione presbiterale in Duomo nel 1975. «Eravamo in 37 e tra loro c’era oltre a don Delpini anche Franco Giulio Brambilla destinati entrambi a divenire vescovi ausiliari di Milano e, ironia della sorte, ad essere consacrati nello stesso giorno il 23 settembre 2007 dall’allora arcivescovo il cardinale Dionigi Tettamanzi. In quella piccola fucina di futuri preti destinati a fare strada nella nostra Chiesa ambrosiana vi è anche monsignor Bruno Bosatra oggi direttore dell’archivio storico diocesano di Milano...».

Istantanee viste con gli occhi di oggi «in un certo senso ingiallite dal tempo» ma che riportano il cuore e la mente di don Caldera agli anni del Seminario con l’allora don Delpini. «Difficile a immaginare forse pensando agli incarichi ricoperti poi nella sua vita successiva come rettore di Seminario, di docente di patristica e infine di vescovo ma don Mario è stato un ragazzo capace di piccole “trasgressioni”. Ricordo ancora quando a notte fonda – con un piccolo drappello di seminaristi fidati – saltava il cancello del Seminario inforcava una vecchia vespa per salire su una collinnetta della Bergamasca per guardare le stelle, ammirare le costellazioni del cielo e aspettare lì l’alba e poi tornare contento al momento della “sveglia” in Seminario. Mi confidava: “è una piccola trasgressione che però mi aiuta a pregare e stare in colloquio con il Signore”».

Uno stile quello del neo arcivescovo di Milano - il 144esimo - che non cambierà certamente ora. «Non credo – è la confidenza – in questi anni è rimasto il “don Mario” di sempre che usa in città la bici e che non ha mai fatto mancare al suo antico compagno di Seminario quella fedeltà nell’amicizia e quell’attenzione di cui sentivo il bisogno. Mi sono sempre sentito consolato dalle sue parole. È un uomo concreto: è questo lo testimonia la sua capacità di grande organizzatore di eventi; basti pensare all’ultima visita di Francesco a Milano.Il suo segreto più bello? Forse di essere un vero contemplativo che non dimentica mai le attese che albergano nell’animo dei preti che si affidano a lui».




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