sabato 26 marzo 2022
Un volume di Andrea Fagioli e una mostra sul sacerdote che avviò la missione fiorentina di Salvador Bahia e tenne un diario dal 1943 al 2012. Il cardinale Betori: gioioso e obbediente
Don Renzo Rossi tra i ragazzi delle favelas a Salvador Bahia in Brasile

Don Renzo Rossi tra i ragazzi delle favelas a Salvador Bahia in Brasile - Arcidiocesi di Firenze

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Una mostra fotografica e una biografia per raccontare la bella figura di don Renzo Rossi (1925-2013), prete fiorentino per molti anni missionario in Brasile. La mostra, che ha per titolo “Don Renzo Rossi: prete di Firenze, cittadino del mondo” ed è promossa principalmente dalla Fondazione La Pira e dall’Associazione degli Archivi di cristiani nella Toscana del Novecento (Arcton), è ospitata nel Chiostro Grande della Basilica della Santissima Annunziata a Firenze fino al 3 aprile. In concomitanza con la mostra esce anche una biografia a firma di Andrea Fagioli, "Renzo Rossi, prete" (Edizioni Sarnus, pp. 144, euro 15,00), con la prefazione del cardinale Giuseppe Betori, che in gran parte anticipiamo in questa pagina.

In quanto al titolo, si fa riferimento al fatto che don Rossi era un prete che ci teneva così tanto ad esserlo da firmarsi ogni volta “Renzo Rossi, prete”. Per il resto si tratta di un racconto in prima persona reso possibile dalla lettura delle pagine di un diario lungo settant’anni e messo a disposizione dalla famiglia. Il sacerdote fiorentino, infatti, con una costanza incredibile, ha compilato giorno per giorno, dal 1943 al 2012, ben 743 quaderni (ora raccolti in 115 piccoli faldoni presso Arcton). E li ha pure riletti e corretti come revisione della sua vita dai 17 anni agli 87 anni.


Don Renzo Rossi diceva che con il “suo” primo vescovo, il cardinale Elia Dalla Costa, ebbe «un rapporto intimo, affettuoso e immediato». Sento di poter dire che anche tra me, il suo ultimo vescovo, e lui c’è stato un profondo legame fraterno e affettuoso. Con una dedizione da parte sua senza riserve verso di me, non tanto me come persona - sebbene anche come persone ci fosse tra noi una grande consonanza e fraternità: ci siamo subito intesi io e lui -, ma soprattutto me come vescovo, come pastore della Chiesa fiorentina, la Chiesa a cui egli aveva offerto la propria vita. Con ammirazione da parte mia per questo piccolo prete, che per me rappresentava una sintesi del meglio del clero fiorentino sbocciato dall’eredità del ministero episcopale del venerabile Elia Dalla Costa: tanta fede, intelligenza vivace, apertura verso tutti, servizio generoso, coraggio apostolico.

Il segreto di don Renzo? La sua intimità col Signore, la conformità del suo pensiero con quello del Signore, un cuore che era una cosa sola con il cuore di Cristo, uno sguardo di speranza che aveva l’orizzonte stesso della volontà di Cristo. Questa intimità con Gesù gli permetteva di attraversare tutti i luoghi della vita, anche i più impervi, i più pericolosi, con una radicata e disarmante serenità. Non c’è stata tragedia, non c’è stata povertà umana in cui don Renzo non sia entrato, senza mai lasciarsene risucchiare. Al contrario, facendosi vicino a tutti egli ha aperto a tutti coloro che si trovavano nelle povertà - dalle favelas alle carceri, fino alle nostre comunità con i loro limiti -, ha aperto a tutti orizzonti di vita nuova, la vita di Gesù, perché lui era, appunto, in intimità con Gesù.

Per questo don Renzo è stato capace di testimoniarci una gioia vera; non una gioia fatta di sentimenti, ma la gioia di chi, essendosi messo all’ascolto di Cristo, ha scoperto Gesù ed è lieto di dare testimonianza di lui a tutti.

“Gioioso e obbediente”, ho avuto modo di dire più volte parlando di don Renzo. Egli era gioioso proprio perché obbediente, perché sapeva che, avendo consegnato tutta la propria vita alla Chiesa, non aveva da preoccuparsi di nulla, perché stava nelle mani di Cristo che vive nella Chiesa. Ed era capace di obbedienza perché, avendo scoperto la gioia di Cristo, non aveva nulla da difendere per sé stesso, da dover negare agli altri.

La gioia e l’obbedienza di don Renzo umanamente mi mancano. Ma la memoria di don Renzo è ben ferma dentro di me e non la potrò facilmente cancellare, anche perché è ancora ben presente nella nostra Chiesa: la fede ci assicura che oltre il passaggio della morte c’è la vita vera, la vita eterna. Di vita vera, eterna don Renzo è stato un credibile testimone. Lo mostra la sua esistenza, spesa nell’offrire a tutti la possibilità di una vita nuova, di una vita ricomposta nella sua dignità assoluta, preludio di quella dignità totale che ci è promessa nell’eternità. Questo è stato quanto egli ha fatto nelle fabbriche, nelle favelas, nelle carceri e persino nelle nostre parrocchie e comunità cristiane, dove forse, a volte, è ancora più difficile far emergere la novità della vita cristiana e del dono di Cristo. Lui è stato capace di farlo dappertutto.

Ma don Renzo ci ha insegnato anche dove alimentare questa fede: nella preghiera. C’era un patto tra me e lui: dovevo lasciare che egli potesse equilibrare gli spazi della pastorale e gli spazi della contemplazione. Tanti mesi io potevo mandarlo a servire in qualche comunità della diocesi dove c’era bisogno e altrettanti mesi gli dovevo concedere per vivere l’esperienza contemplativa, una dimensione nella vita di don Renzo altrettanto importante quanto la dimensione apostolica. Perché solo chi è amico di Dio può diventare amico degli uomini e delle donne di questo mondo. Altrimenti tutto è fragile. Don Renzo ci ha insegnato che la saldezza dell’amore, del servizio, dell’amicizia va attinta dall’amicizia di Dio.

È un’importante eredità questa che ci lascia don Renzo, perché sentiamo l’urgenza di servire Cristo, soprattutto verso e attraverso e in mezzo ai poveri di questo mondo, ma, allo stesso tempo, sentiamo l’urgenza di aprire il nostro cuore nella contemplazione al Signore, perché egli ci insegni come amare con il suo stesso cuore e con la sua stessa potenza di vita, quella che viene dalla sua morte e dalla sua risurrezione.

Possano le pagine del libro di Andrea Fagioli, “Renzo Rossi, prete”, che ne raccolgono i più intimi pensieri lungo il percorso della sua vita, aiutarci e comprendere sempre meglio questa eredità. Esprimo gratitudine all’autore anche per la fatica di avere affrontato la lettura di 743 quaderni per darne una sintesi precisa e avvincente e donarci il ritratto vivo di un prete che anche così continuerà a servire la Chiesa.

Giuseppe Betori è cardinale, arcivescovo di Firenze

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