venerdì 6 maggio 2022
Con una prefazione del cardinale Matteo Maria Zuppi le Edizioni Studio Domenicano hanno raccolto "i discorsi" dell'arcivescovo di Bologna per San Giuseppe lavoratore dal 1985 al 2003
Il cardinale Giacomo Biffi

Il cardinale Giacomo Biffi - Ansa

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Una scena vagamente guareschiana. È il primo maggio 1985 e siamo a Bologna, capitale dell’Emilia rossa, dove la festa dei lavoratori è ancora un evento fortemente identitario, parata dell’orgoglio del Pci, del movimento sindacale, del movimento cooperativo ecc. Mentre comizi e cortei riempiono di gente e bandiere il centro città, in Cattedrale una sorta di don Camillo lombardo, Giacomo Biffi, celebra la sua prima Messa per la festa di San Giuseppe Lavoratore nei panni di arcivescovo di Bologna. E tiene anche lui il suo “comizio”, un’omelia sul senso profondo del lavoro, oltre la sua valenza sociale o economica, e sul suo giusto posto nella creazione.

«Il lavoro è valore più alto e più prezioso dei mezzi di produzione, della proprietà, della ricchezza – scandisce le parole Biffi – e l’uomo, interlocutore e figlio di Dio, è più grande del suo lavoro, che perciò non lo deve mai assorbire totalmente e travolgere; così come Dio, col suo disegno di salvezza e con la sua volontà di chiamarci a condividere la sua stessa vita, trascende l’uomo, è più grande del nostro cuore, dei nostri terrestri progetti, della nostra piccola capacità di capire. Quando questa gerarchia di preminenze è misconosciuta o alterata, allora nascono le aberrazioni sociali e tutta l’esistenza è stravolta».

Le omelie su questo tema si ripeteranno ogni 1° maggio fino a quello del 2003, dopo di che Biffi lascerà la guida dell’arcidiocesi e diventerà emerito.

Ora sono state raccolte dalle Edizioni Studio Domenicano con una prefazione del cardinale Matteo Maria Zuppi (La festa della fatica umana, pagine 188, euro 14) e insieme rappresentano un pezzo di magistero biffiano da riscoprire, perché non ha perso freschezza e può essere anche di aiuto in momenti di angustia lavorativa.

«La pena, la fatica, la frustrazione connotano spesso la condizione di chi lavora – spiega Biffi – ma mentre per il non credente questo disagio è un peso inevitabile e oscuro, che può solo deprimere e indurre alla ribellione, per il credente è una croce, cioè una sofferenza motivata e sorretta dall’amore per Dio e per i fratelli».

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