lunedì 28 novembre 2022
Un po' don Benzi, un po' don Camillo, a Leopoli l'impegno di don Grzegorz Draus. Con la sua talare lisa ha fatto nascere bambini e aiuta chi ha traumi di guerra
Don Grzegorz Draus fra gli sfollati che ha accolto nella sua parrocchia a Leopoli

Don Grzegorz Draus fra gli sfollati che ha accolto nella sua parrocchia a Leopoli - Gambassi

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Coccola il piccolo Igor come fosse un nipotino. «È nato qui, un mese fa», racconta don Grzegorz Draus. Mamma Maria è seduta sul bordo del letto in una stanza dove i letti sono dieci. E tutti a castello. Una coperta che cala dall’alto circoscrive il piccolo “appartamento” della famiglia fuggita da Zaporizhzhia. Nonna Dramir sorride. «Mia figlia ha ventun’anni. Per partorire siamo stati costretti a venire a Leopoli. Troppo rischioso farlo sotto le bombe che continuano a cadere. Mio genero, il padre del bimbo, è rimasto là: è un militare volontario che ha scelto di difendere il nostro territorio». Un ragazzino entra di corsa. «Sasha, che cosa fai qui? Vai in classe», lo rimbrotta don Grzegorz.


È una via di mezzo fra don Oreste Benzi e don Camillo questo dinamico sacerdote neocatecumenale di rito latino che guida la parrocchia di San Giovanni Paolo II alla periferia di Leopoli. La sua talare è lisa e macchiata come quella del prete romagnolo dell’umanità ferita; il piglio deciso fa tornare alla mente il parroco della Bassa uscito dalla penna di Guareschi. Da nove mesi la sua comunità è una casa dei “poveri di guerra”. Sfollati che arrivano dall’Est dell’Ucraina e che in una valigia hanno messo il loro tutto. Donne e bambini, soprattutto. Ma anche anziani e malati. E qualche padre di famiglia che don Draus ha messo a lavorare. «Perché non si può stare con le mani in mano. Ciascuno deve fare la sua parte», spiega. Oggi sono in 102 nel centro pastorale inaugurato meno di due anni fa che con l’invasione russa è diventato un polo d’accoglienza. «Siamo stati anche 200. E se si presenterà un’altra emergenza, apriremo di nuovo le porte a chiunque avrà necessità». Certo, fra queste mura è già racchiusa tutta la geografia dell’orrore che il Paese vive. C’è il Donbass sotto attacco dal 2014; c’è Zaporizhzhia con la sua centrale atomica che è «una bomba a orologeria», sostiene il prete; c’è Kharkiv dove i razzi piombano ogni giorno.

La scuola per i bambini sfollati voluta da don Grzegorz Draus nella parrocchia di San Giovanni Paolo II a Leopoli

La scuola per i bambini sfollati voluta da don Grzegorz Draus nella parrocchia di San Giovanni Paolo II a Leopoli - Gambassi

Trentacinque i ragazzi: hanno da pochi mesi a quindici anni. E per loro don Grzegorz ha creato un asilo e una scuola all’interno del complesso a tre piani circondato da villette e capannoni industriali. Sullo stile di don Milani. «È una sorta di scuola domestica. Paghiamo noi gli insegnanti. E abbiamo fatto in modo che il percorso didattico venisse riconosciuto dalle autorità pubbliche», chiarisce. Il “don” ha voluto persino una classe delle medie. «Per tre studenti: è giusto così». Anche Ludmilla è nata all’ombra del suo campanile. «Quanti mesi ha? Gli stessi della guerra, purtroppo. È venuta alla luce dopo l’inizio dell’invasione. La madre, il padre e la nonna sono della regione di Kharkiv». C’è anche una «super famiglia», come la chiama il sacerdote. Otto in tutto, compresa la nonna, originari di Dnipro. A loro è stata destinata un’ex aula di catechismo trasformata in camera dove condividono quattro letti e l’unico bagno.

Don Grzegorz Draus e l'arcivescovo di Leopoli, Mieczysław Mokrzycki, fra gli sfollati nella parrocchia di San Giovanni Paolo II

Don Grzegorz Draus e l'arcivescovo di Leopoli, Mieczysław Mokrzycki, fra gli sfollati nella parrocchia di San Giovanni Paolo II - Gambassi

Una mano si allunga verso la tonaca del prete: è quella di Alma. Viveva a Donetsk, terra in lotta da otto anni. Gli occhi azzurri sono ancora velati di sofferenza nonostante sia a Leopoli da marzo. Abbraccia don Draus. «Se ha notizie di mio figlio, mi faccia sapere per favore», sussurra. Perché, racconta il sacerdote, «lui è in ospedale: non parla più e ha continui attacchi di panico. Traumi di guerra. E allora abbiamo voluto che venisse curato a dovere». L’altro figlio è al suo fianco. «Grazie al cielo tu ci sei ancora», gli dice la madre. Il centro ospita anche la sede di Caritas-Spes. «Siamo in grado di portare fino a 140 “pacchi viveri” al giorno ai profughi che alloggiano in città - sottolinea il parroco -. Gli aiuti stanno diminuendo, ma sono sicuro che il Signore non ci farà mancare il suo aiuto».

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