mercoledì 7 ottobre 2020
Parla madre Diana Papa, abbadessa del monastero delle Clarisse a Otranto. In “Fratelli tutti” Francesco definisce un miracolo incontrare chi la pratica: trasforma le relazioni sociali
La gentilezza del Papa verso le persone semplici

La gentilezza del Papa verso le persone semplici - Vatican Media

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Uno dei nostri difetti più comuni è abitare poco le parole, trattarle da gusci vuoti, come se fossero semplici suoni o segni grafici senza contenuto. Esempio classico è il termine “gentilezza”, che indica un’attitudine, una qualità citatissima ma non per questo molto praticata. Facciamoci caso: da tempo nei saluti iniziali delle lettere, e delle email, l’espressione “gentile” ha surclassato il caro/a di una volta, e tra i requisiti più apprezzati in una persona, l’amabilità, il garbo, la grazia non mancano mai. Eppure nella vita quotidiana e sui media sembra dominare l’aggressività, spopolano gli urlatori, “vince” chi riesce a zittire gli altri. Al punto che il Papa parlando di una persona gentile la definisce un miracolo. Nell’enciclica “ Fratelli tutti” Francesco dedica al tema una riflessione ricca e profonda. «La gentilezza – scrive – è una liberazione dalla crudeltà che a volte penetra le relazioni umane, dall’ansietà che non ci lascia pensare agli altri, dall’urgenza distratta che ignora che anche gli altri hanno diritto a essere felici». Quando si fa cultura – aggiunge il Pontefice –, «trasforma profondamente lo stile di vita, i rapporti sociali, il modo di dibattere e di confrontare le idee. Facilita la ricerca di consensi e apre strade là dove l’esasperazione distrugge tutti i ponti». «Se può essere un orpello per la vita dell’individuo – spiega madre Diana Papa, abbadessa del monastero delle Clarisse a Otranto – la gentilezza è invece parte integrante della persona che, con tratto umano amabile, esprime la profondità della sua esistenza. Si è gentili nella misura in cui si è umani. Il cristiano dovrebbe essere la persona gentile per eccellenza, perché dal Vangelo impara a relazionarsi con rispetto ed empatia con tutto ciò che lo circonda. Chi pratica la gentilezza come stile di vita, dimostra di accettare l’altro senza idealismi, nella concretezza della sua specificità e nella fedeltà verso tutti. Non si lascia determinare dalle emozioni del momento o dai pensieri istintivi, ma dal senso della propria vita - per il cristiano è Gesù Cristo e il Vangelo - che porta ad essere sempre per l’altro, al di là di tutto».

Naturalmente qui si va oltre le buone maniere e i formalismi...
Non bisogna confondere il manierismo affettato con la gentilezza, qualità che parte dal riconoscimento di se stesso e dell’altro come valore, come dono. Tale consapevolezza porta al rispetto di sé e dell’altro da amare in qualsiasi momento, proprio come fa Gesù con ciascuno di noi. I formalismi conducono alla selezione delle persone, a causa della proiezione di sé sull’altro, e favoriscono rapporti superficiali, mentre le relazioni autentiche, vissute evangelicamente, rimangono in eterno.

Papa Francesco vede nella gentilezza la qualità di chi sa condividere il peso degli altri, di chi è capace di incoraggiare, la ritiene un antidoto al- l’indifferenza. Ma esiste una scuola per imparare a essere gentili?
Il termine gentilezza deriva da “ gentilis”, che appartiene alla “ gens”, cioè all’insieme di famiglie che avevano un capostipite comune. Se il significato è valido ancora oggi, come si può essere indifferenti verso coloro che hanno in comune con noi gli stessi tratti, la stessa natura, la stessa storia, l’appartenenza alla stessa famiglia umana? Spinti dall’individualismo, dall’egolatria, spesso anche noi cristiani ci chiudiamo nella rete dei piccoli orizzonti, dimenticando che la terra è abitata dallo Spirito che dà vita e che ogni spazio tra una persona e l’altra è sacro. Abbiamo bisogno di toglierci più spesso i calzari, come Mosè, per prendere coscienza che la terra che tocchiamo ci è stata donata dal Signore nella gratuità e che il cristiano, come il samaritano, è colui che si adopera per l’altro, perché viva. In questo tempo abbiamo bisogno di ritornare alla scuola di Gesù Cristo, per capire come essere umani, pur continuando ad essere figli di Dio.


Dal momento che presuppone stima e rispetto, quando la gentilezza si fa cultura trasforma profondamente lo stile di vita, i rapporti sociali, il modo di dibattere e di confrontare le idee. Facilita la ricerca di consensi e apre strade dove l’esasperazione distrugge i ponti Ogni tanto si presenta il miracolo di una persona gentile, che mette da parte le sue preoccupazioni e le sue urgenze per prestare attenzione, regalare un sorriso, dire una parola di stimolo, rendere possibile uno spazio di ascolto in mezzo a tanta indifferenza. Uno sforzo che, vissuto ogni giorno, è capace di creare quella convivenza sana che vince le incomprensioni e previene i conflitti

Eppure oggi essere gentile è considerato un segno di debolezza, è controcorrente...
La gentilezza è la virtù dei forti, la qualità di chi possiede le redini della propria vita tra le mani, il segno che trasmette la capacità di volere il bene del-l’altro, la testimonianza di chi è unificato dal senso della propria vita. Essa rimanda alla relazione di Gesù con ciascuno di noi: non si ferma al comportamento esterno ma, come ha fatto con l’adultera, guarda il cuore. Oggi spesso scarichiamo la rabbia sugli altri, senza metterci in ascolto dei movimenti profondi di chi è vicino. É così diffuso l’attacco frontale che esprime la fragilità dell’individuo: vi è la mancanza di rispetto, di stima, di ascolto… Abbiamo quasi paura di stabilire relazioni alla pari, per trovare insieme un’alternativa che curi e custodisca il bene comune, che porti alla custodia della comunione, della pace.

La gentilezza presuppone anche la capacità di prendersi tempo per l’altro, va oltre la fretta delle cose da fare. In questo senso educa a mettere la persona al centro.
Strutturiamo spesso il tempo con le cose da fare, ci muoviamo in continuazione senza percepire la terra sotto i piedi. Corriamo rimanendo seduti, andando da un luogo all’altro attraverso la connessione. Il paradosso di questo tempo: mentre non legittimiamo l’esserci dell’altro, scotomizziamo anche la nostra esistenza. Tutto ciò non ci permette di vedere i percorsi tracciati da Dio, di percepire il ritmo del tempo cadenzato dallo Spirito che ci svela, attraverso la dimensione contemplativa e mistica della vita, ogni persona e il creato da amare, la presenza di Dio in ogni frammento e nella storia. É urgente fermarci per prendere contatto con la nostra condizione umana e divina: noi non siamo un’idea, un’astrazione, siamo persone concrete, create a immagine e a somiglianza di Dio, capaci di amare senza condizione. Andare incontro all’altro, anche con la preghiera, non è una perdita di tempo, ma è preparare ogni giorno insieme la strada che porta verso la stessa meta.

Al di là della riflessione sulla gentilezza cosa l’ha maggiormente colpita di “Fratelli tutti”? Quale pensa sia la scelta più urgente da affrontare?
Nell’Enciclica si coglie una lettura chiara della realtà di oggi. Ci sono dei tracciati che possono aiutare non solo i cristiani, ma anche tutti coloro che hanno a cuore le sorti dell’umanità, del creato, degli emarginati, per scrivere insieme strade inedite per il bene di tutti, pur nel rispetto e nell’accoglienza della diversità. In questo tempo bisogna mettere al centro la persona reale, concreta, tangibile, per contemplare e mettere a servizio di tutti il dono dell’esistenza ricevuta da Dio nella gratuità come Gesù. L’umanità ha bisogno di persone che ritrovino Dio e ogni creatura, che gioiscano della vita, che si coinvolgano con responsabilità e con dignità nella storia del nostro tempo, nella cosa pubblica, superando gli steccati dell’egoismo. É giunto il tempo di metterci in ascolto anche dell’'avversario', per cogliere il bene che c’è in ogni creatura, condizione che fa accogliere senza distinzione e solo per amore ogni persona amata da Dio?

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