sabato 16 aprile 2022
Parla l’arcivescovo di Mosca: «Nel cuore dei fedeli c’è paura, angoscia, paura, tanta incertezza per il futuro e dolore per sofferenze che appaiono, se non inutili almeno, ingiustificate»
L'arcivescovo Pezzi: c’è tanto bisogno di perdono

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Una Pasqua strana. Con la luce della Risurrezione che fatica a farsi strada tra le immagini del Venerdì Santo. Forse mai come quest’anno la morte e la vita nuova camminano insieme, strette nello stesso abbraccio, che chiama alla speranza ma non dimentica il dolore e la prova.

Per i cattolici russi, piccola minoranza in un Paese a stragrande maggioranza ortodossa, sono giorni complicati, sospesi tra i continui appelli del Papa alla pace e l’informazione ufficiale, che capovolge il senso della realtà, quella almeno che arriva nelle nostre case. E poi ci sono le difficoltà dell’esistenza quotidiana, aggravate dagli effetti non solo economici di un conflitto che divide tante famiglie al loro interno. «Una Pasqua particolare, sì – spiega monsignor Paolo Pezzi, dal 2007 arcivescovo dell’arcidiocesi di Mosca dedicata alla Madre di Dio, estesa su un territorio grande sette volte l’Italia –. Nel cuore dei fedeli c’è angoscia, paura, tanta incertezza per il futuro e dolore. Dolore per sofferenze che appaiono, se non inutili, quanto meno ingiustificate».


La guerra che divide anche le famiglie al loro interno, il gran numero dei fedeli alle liturgie,
la possibilità che il Papa vada a Kiev

In queste ore un pastore che cosa può dire?
Alla mia gente chiedo di rischiare, di fidarsi di Dio, di accettare la follia della croce, in cui un uomo, Gesù di Nazareth, offre la sua vita umana prendendo su di sé tutta l’angoscia, l’ingiustizia, la paura, l’indignazione. E anche la nostra incapacità di perdonare.

Al di là delle posizioni sulla guerra, in Russia questo conflitto spacca, immagino, le famiglie dal di dentro.
Lo noto soprattutto in chi ha parenti o amici in Ucraina. A loro non dico niente di diverso se non di condividere umilmente il perdono e il dolore, di non lasciare che la sofferenza si trasformi in male nel proprio cuore. Si deve avere il coraggio di parlarne.

In questi casi essere comunità è importante.
Ci sta stupendo molto la partecipazione alle liturgie. Ed è un presenza che colpisce per due fattori. Innanzitutto l’ascolto, che ho notato soprattutto all’Eucaristia dell’annunciazione il 25 marzo cui è seguita una liturgia penitenziale molto commovente e l’atto di consacrazione al cuore immacolato di Maria. E poi la Confessione, si accosta al sacramento della Penitenza molta più gente del consueto.

Che eco hanno tra i cattolici russi le parole del Papa, i suoi continui appelli alla pace?
La nostra comunità segue i suoi interventi con grande accoglienza, attenzione. E attesa.

Francesco non esclude di andare a Kiev.
Credo che un suo viaggio possa essere utile, anche se non so quanto oggettivamente fattibile. Però sappiamo quanto il Papa fortemente desideri condividere il dolore e la sofferenza soprattutto dei più abbandonati, dei “miserabili”, intesi nell’accezione dello storico romanzo di Victor Hugo. Basta ricordare le storiche visite in Iraq, in Albania, in Centrafrica.

In Occidente c’è sconcerto per le parole del patriarca Kirill, per la giustificazione che ha dato alla guerra.

Con lui non ci siamo sentiti recentemente. L’ultima occasione è stata in gennaio, per il Natale ortodosso. Personalmente penso che i responsabili di comunità, non solo il Papa o i patriarchi ma anche noi vescovi e i sacerdoti, debbano concentrarsi di più sul perdono e sull’offerta di ciò che fa superare le divisioni.


In questi giorni cosa chiede nella preghiera?
Innanzitutto la conversione dei cuori, a cominciare dal mio perché, come dice lo scrittore francese Charles Peguy, «occorre chiedere innanzitutto la propria conversione, per restare umili e aperti». E poi chiedo che nel cuore degli uomini, soprattutto quelli feriti dalle guerre, dalle ingiustizie, dalle violenze non si soffochi del tutto la fiammella della speranza. E, ancora, che ci siano persone capaci di testimoniare il perdono e come, attraverso di esso, si costruiscono nuovi rapporti, e un mondo nuovo fondato sulla verità e sull’amore.

Inoltre c’è la vita più ordinaria della comunità.

In questo momento chiedo vocazioni sante al sacerdozio e un figlio per alcune famiglie che sembrano essere nella condizioni di non poterne avere. Perché se è per il loro bene possano ottenere questo dono e sappiano sempre riconoscerlo come tale.


Quale sarà il concetto forte su cui punterà in questa Pasqua?

Innanzitutto sul perdono: Gesù risorto non accusa nemmeno i suoi discepoli ma rilancia con la missione, dando loro una nuova possibilità di rispondere, una chance di responsabilità. E poi vorrei soffermarmi sulle figure della Madonna e della Maddalena, sulla loro capacità, senza snaturasi, rimanendo donne fino in fondo, di essere le prime missionarie e le prime generatrici, insieme a Cristo, dell’umanità nuova, del regno di Dio, della Chiesa.

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