venerdì 22 febbraio 2019
A colloquio con il presule teologo che accompagna i preti in difficoltà ed è referente umbro per la tutela dei minori. «La tolleranza zero non deve togliere la speranza a nessuno»
Il vescovo di Città di Castello, Domenico Cancian, che accompagna preti in difficoltà (foto Siciliani)

Il vescovo di Città di Castello, Domenico Cancian, che accompagna preti in difficoltà (foto Siciliani)

COMMENTA E CONDIVIDI

«Un’iniziativa molto opportuna, anzi necessaria». Il vescovo Domenico Cancian guarda dall’Umbria all’incontro in Vaticano sulla tutela dei minori. Anche perché da anni lui è accanto ai preti segnati dalle fragilità umane e spirituali: prima nel santuario dell’Amore Misericordioso a Collevalenza, oggi da pastore di Città di Castello. Lo fa come Figlio dell’Amore Misericordioso, la congregazione fondata dalla beata spagnola Madre Speranza che proprio a Collevalenza aveva voluto quella speciale “casa” e che ha avuto una particolare cura verso i sacerdoti anziani, malati o in difficoltà. «La Chiesa sta facendo un significativo percorso di conversione – afferma commentando il summit Cancian, appena nominato dalla Conferenza episcopale umbra vescovo referente del Servizio regionale per la tutela dei minori –. Anche la Chiesa italiana ha bisogno di mettere in atto queste necessarie indicazioni, cercando di superare lassismo e legalismo, coniugando verità, giustizia e misericordia».

Eccellenza, come essere vicino a un sacerdote che “cade”?

Vorrei premettere che la gran parte dei preti e dei consacrati dà buona testimonianza, talvolta davvero profetica, e merita il riconoscimento che normalmente la gente dimostra. Giustamente la Chiesa, specialmente con Benedetto XVI e ora con papa Francesco, sta promuovendo un profondo rinnovamento di tutto il popolo di Dio. Le fragilità e gli scandali del clero sono affrontati in modo deciso, a partire dalla giustizia verso le vittime, che devono essere ascoltate. Nei confronti dei sacerdoti la prima cosa è quella di fare piena verità sull’entità della fragilità umana e spirituale. Un conto è il crimine della pedofilia o dell’abuso; altro gli atti omo o etero sessuali tra maggiorenni; altro ancora sono le dipendenze e l’uso scorretto del ministero. Nessuno di questi casi è accettabile, ma implicano responsabilità diverse.

Allora che cosa fare?

Non è facile aiutare l’abusatore a riconoscere la verità dei fatti, accettare la responsabilità penale, morale, psicologica, con l’eventuale processo canonico e civile, con la giusta pena. Le difese a volte sono pesanti (negazione, razionalizzazione, proiezione…) e sono parte del disturbo di personalità che lo psicoterapeuta deve saper leggere per iniziare la diagnosi attraverso adeguati strumenti oggi riconosciuti attendibili. Questo per risalire alla causa, alla dinamica e al tipo di personalità.

E poi?

Dalla diagnosi si passa agli incontri di psicoterapia a livello personale (anche di gruppo) per aiutare la presa di coscienza, accompagnata dal doloroso e necessario riconoscimento della colpa, e l’accettazione di un cammino (a volte di anni) per cercare di intervenire, per quanto possibile, sulla causa dell’abuso e del disturbo, quantomeno per controllarlo e gestirlo. Dipende naturalmente dalla gravità della situazione e dalla disponibilità alla revisione di vita e alla conversione. Oltre alla psicoterapia non è meno importante un accompagnamento spirituale adeguato, a livello personale e comunitario, convinti soprattutto in queste situazioni che c’è bisogno della grazia del Signore: “Senza di me non potete far nulla”. Il cammino si può positivamente concludere quando si ricava la certezza della non recidività.

Come legge la sua esperienza di accompagnamento sia a Collevalenza, sia a Città di Castello?

Devo dire che Madre Speranza ha trasmesso alla nostra Famiglia dell’Amore misericordioso una grande passione per i sacerdoti. Ci ha chiesto di essere vicini al loro ministero e in modo particolare nelle loro fragilità e debolezze (possibili a tutti). Dinanzi alla fragilità e all’abuso di un sacerdote, cerco di elaborare tre atteggiamenti. Anzitutto la massima attenzione alla giustizia riparativa nei confronti della vittima. Non è possibile nascondere, né sottovalutare nulla. Gesù è arrivato a dire che è meglio morire affogati con la macina di mulino al collo piuttosto che scandalizzare un piccolo. Secondo, aiutare l’abusatore a una profonda conversione umana ed evangelica, ritenendo che la salvezza è sempre possibile per tutti (vedi il ladrone pentito). La tolleranza zero non deve togliere la speranza a nessuno. Terzo, più che scandalizzarsi (chi può ritenersi migliore di un altro e permettersi di giudicarlo e condannarlo?) è molto meglio chiedersi: come si può essere espressione del Buon Samaritano misericordioso nei confronti di chi ha subìto la violenza e di chi l’ha perpetrata?

Che cosa si porta con sé?

Qualche sacerdote mi ha confidato con grandissima sofferenza: dopo quanto mi è successo sono stato allontanato come un lebbroso. Devo dire che ho visto talvolta disperazioni, ma anche risurrezioni vere e proprie, uomini nuovi. L’ideale sarebbe arrivare al perdono dopo un adeguato percorso, con tutte le sofferenze del caso, così come leggiamo nel libro di Daniel Pittet La perdono padre con la prefazione di papa Francesco.

Quali sono le fragilità che in Italia possono segnare la vita di un prete oggi?

La più grave è l’abuso di un minore o di un adulto vulnerabile, l’abuso di uomini e donne che venivano con fiducia a chiedere un aiuto spirituale a chi esercitava il ministero. Ho riscontrato che diverse fragilità si manifestano nell’area affettivo-sessuale, ma hanno origine di altro genere: nell’area dell’autonomia, della stima di sé, dell’aggressività. Provengono anche da disturbi o abusi dell’infanzia e dell’adolescenza. Ci può essere anche l’uso distorto e strumentale della fede, della spiritualità e della vocazione sacerdotale. Qualcuno ha affermato che nell’abuso c’è sempre una concezione di potere per cui si sfrutta una persona ritenuta inferiore. È gravissimo, soprattutto quando si tratta di una persona fragile e dura anni.

E le vittime?

La vittima è letteralmente sconvolta e si porta ferite così profonde che possono rimarginarsi, ma non sempre, con enorme fatica. Questo vale anche per l’abusatore. L’onnipotenza della misericordia può superare anche questo, in tempi lunghi e dolorosi. A noi crederci e offrire l’aiuto giusto che favorisca tale “miracolo”. Diceva una vittima: «Un uomo di Chiesa mi ha ferito profondamente, altri uomini di fede e di Chiesa mi hanno aiutato a trovare la serenità».

Come la formazione in Seminario può essere fondamentale nella prevenzione?

I preti che abusano (in verità pochi) e quelli che si identificano nel ruolo e nel potere clericale (il Papa parla di burocrati, carrieristi, individualisti) ci interrogano sulla qualità della formazione in Seminario ma anche sulla formazione permanente. Oggi abbiamo due grandi aiuti: il magistero della Chiesa che ci offre documenti molto validi e precisi circa la formazione umana, cristiana, sacerdotale; abbiamo anche le scienze umane che possono essere in grado di individuare la presenza di disturbi non compatibili col ministero, ma anche utili per favorire la maturazione armonica ed equilibrata, tanto necessaria per le relazioni pastorali e per prevenire scorrette derive. Le domande sono: vengono usati questi strumenti? Come è impostata la formazione umana? Quale tipo di spiritualità viene proposta se poi di fatto passano quasi inavvertite pesanti contraddizioni? È chiaro che se c’è una buona formazione in Seminario che continua nella formazione permanente, otteniamo come risultato non solo la prevenzione, ma soprattutto la crescita e la santità del prete.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI