domenica 2 settembre 2018
Sulle colline di Palermo la struttura protetta che accoglie madri e figli vittime di maltrattamenti. Dal 2012 un presidio nato da un'intuizione del prete beato. Le storie delle ospiti
Due figli delle donne ospiti di casa “Al Bayt”, la struttura di accoglienza per madri vittime di maltrattamenti (foto Marcella Ciraulo)

Due figli delle donne ospiti di casa “Al Bayt”, la struttura di accoglienza per madri vittime di maltrattamenti (foto Marcella Ciraulo)

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Il marito è un alcolista. Violento e volgare. Bastonava lei e i due figli. E della loro vita aveva un controllo totale. Un coniuge e un padre padrone che considerava la sua “metà” e i bambini oggetti a disposizione. Finché lei non ha trovato il coraggio di fuggire. La storia di questa 20enne che dimostra ben più della sua età nonostante i capelli sbarazzini e i lineamenti gentili è simile a quelle delle altre ospiti di casa “Al Bayt”, la struttura di accoglienza per madri che assieme ai loro ragazzi sono vittime di maltrattamenti fra le mura domestiche. È uno dei lasciti di padre Pino Puglisi che immaginava fin dal suo arrivo come parroco a Brancaccio un’ancora per le donne in difficoltà. A realizzare il suo progetto è stato nel 2012 il Centro Padre Nostro fondato proprio dal prete martire della mafia.


Basta affacciarsi dalle finestre e dalla grande terrazza del complesso per abbracciare con lo sguardo gran parte di Palermo. Perché la palazzina è in mezzo a una delle colline che circondano il capoluogo siciliano. Arrivarci è tutt’altro che facile. Bisogna arrampicarsi per vie minuscole che si aprono dietro le case o fra terreni incolti. «E una ragione c’è se siamo in un angolo così fuori mano ma al tempo stesso in grado di offrire una vista così rassicurante», spiega Luisa Martino, psicologa ed educatrice che fa parte del gruppo cui è affidata l’accoglienza. «Occorre un luogo protetto e direi sconosciuto per assicurare un rifugio a donne segnate da situazioni tanto gravi. Infatti è accaduto che i “loro” uomini le abbiano cercate ovunque come pazzi per riprendersele o vendicarsi».

Il nome della struttura, “Al Bayt” appunto, deriva dall’arabo e vuol dire “casa”. «Qualcuno ci ha preso in giro quando ha scoperto l’origine della parola – racconta Luisa –. “La chiamate casa casa”, ci è stato detto. Ma qui sta la nostra missione: far sentire a casa, o meglio in famiglia, donne e bambini costretti a lasciarsi alle spalle tutto e magari ad abbandonare di notte l’abitazione in cui stavano senza poter prendere nulla, i vestiti, gli occhiali, i giocattoli dei piccoli». Oggi la comunità è composta da cinque madri e undici ragazzini. «La permanenza minima è di un anno, ma quella media è di tre o quattro», chiarisce la psicologa. Chi arriva ad “Al Bayt” ha in mano un decreto delle forze dell’ordine in cui si evidenzia che è in pericolo di vita. «Spesso le nostre ospiti non hanno nessuno a cui appoggiarsi e vivono nella paura – afferma Luisa –. È vero che qui conducono una vita blindata. Sono sempre accompagnate quando scendono in città. E anche i figli vanno a scuola scortati da noi assistenti. Quando giungono la prima volta, qualcuna sussurra: “Sembra di stare in prigione”. Ma una volta che ci lasciano, piangono dalla gioia per essere tornate davvero a vivere».

Il team che guida la casa racconta che il primo obiettivo è quello di aiutare le mamme a essere mamme. «Sia per la giovane età, sia per l’ignoranza, non sanno che cosa significhi educare. E i figli sono già adulti a sei anni: fanno tutto in modo autonomo e badano a loro stessi o magari ai fratelli più piccoli». Molte delle donne vengono dalla Sicilia. «Ma abbiamo accolto anche una madre africana approdata qui con l’elisoccorso da Lampedusa. Aveva attraversato il Mediterraneo su un gommone, assieme al suo bimbo di cinque anni che ancora allattava al seno...».


COME CONTRIBUIRE AL NUOVO ASILO DEDICATO A PADRE PUGLISI

Un gesto concreto di solidarietà per celebrare il 25° anniversario del martirio del beato Pino Puglisi, il prete siciliano ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993 di fronte alla sua casa di Palermo. Il Centro di Accoglienza Padre Nostro, voluto dallo stesso padre Puglisi nel capoluogo siciliano, e la Fondazione Giovanni Paolo II, insieme con l’arcidiocesi di Palermo, il Comune di Palermo e Avvenire intendono realizzare l’ultimo sogno del sacerdote “profeta” per il suo quartiere Brancaccio a Palermo: la costruzione del nuovo asilo nido. Posiamo insieme la prima pietra.

È possibile contribuire al “sogno” di padre Pino Puglisi attraverso:
- bonifico bancario intestato a Fondazione Giovanni Paolo II utilizzando il seguente IBAN IT84U0503403259000000160407 (va inserito anche l’indirizzo di chi versa nel campo causale);
- bollettino sul conto corrente postale n. 95695854 intestato a Fondazione Giovanni Paolo II, via Roma, 3 - 52015 Pratovecchio Stia (AR). Causale: “Asilo Don Puglisi”;
- carta di credito o PayPal sul sito www.ipiccolidi3p.it.
Partecipa al progetto con la tua parrocchia o associazione, con i tuoi familiari o amici. Facendo una donazione si avrà diritto alle agevolazioni fiscali previste dalla legge. I dati saranno trattati ai sensi dell’art.13, regolamento europeo 679/2016 (c.d. “GDPR”).



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