sabato 4 giugno 2022
L’entrata della diocesi di Kharkiv sembra un magazzino. Ovunque sono accumulati scatoloni di varie forme e dimensioni. Le necessità sono davvero tante e servono aiuti
Il vescovo cattolico di Kharkiv-Zhaporizhia, monsignor Pavlo Honcharuk

Il vescovo cattolico di Kharkiv-Zhaporizhia, monsignor Pavlo Honcharuk - Ansa/Epa

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L’entrata della diocesi di Kharkiv sembra un magazzino. Ovunque sono accumulati scatoloni di varie forme e dimensioni. «Come ai tempi dell’Urss, quando le chiese erano trasformate in depositi. Solo stavolta è colpa della guerra», scherza in italiano padre Gregoryi, mentre apre la porta. Il vescovo di Kharkiv-Zhaporizhia, monsignor Pavlo Honcharuk, attende al piano superiore, anch’esso piano di pacchi.

«Ci sono così tanti che hanno necessità», afferma il pastore che, da oltre tre mesi, percorre la città di Kharkiv per distribuire aiuti umanitari.

Nei due mesi successivi al 24 febbraio, il Cremlino che ha scatenato una feroce offensiva per conquistare la capitale industriale dell’Ucraina. Interi quartieri sono ormai un cumulo di macerie. Perfino la chiesa dell’Assunzione, accanto alla diocesi, e la casa vescovile sono state colpite dagli ordigni. Kharkiv, però, ha respinto le truppe di Mosca e spostato il fronte a ridosso del confine russo. Terminata la fase più cruenta della battaglia, dalle loro postazioni, in ogni caso, i soldati di Vladimir Putin continuano, ogni giorno, a martellare la metropoli e i villaggi circostanti. Con il tonfo dell’artiglieria russa in sottofondo, Kharkiv vive un’anomala normalità.

«In teoria la situazione è migliorata perché non siamo più sotto assedio e i bombardamenti si sono fatti meno frequenti – afferma il vescovo –. D’altra parte, però, all’inizio dell’offensiva, nonostante la pioggia di fuoco, i residenti credevano o, almeno, si auguravano, che presto sarebbe finita. Ora, invece, iniziano a pensare che questa tragedia durerà a lungo. Stanno, dunque, perdendo la speranza. La gente è stanca e depressa. La cosa più dura è la separazione delle famiglie. Molti hanno portato mogli e bambini nell’ovest del Paese e la nostalgia è forte. Temo che questo conflitto lasci cicatrici profonde non solo nei corpi ma nelle menti delle persone. Il trauma sociale è fortissimo». E l’assistenza psicologica, nel pieno dell’emergenza, scarseggia. Pochissimi possono contare su un sostegno.

«Ecco perché, come Chiesa, cerchiamo di non limitarci a consegnare soccorsi. Parliamo a lungo con le persone, le facciamo sfogare. È fondamentale alleviare il loro dolore», aggiunge il pastore. Fin dal principio, gli operatori della diocesi e i volontari hanno cercato di aiutare le migliaia di persone - almeno seimila - rifugiate alle fermate della metropolitana per sfuggire ai bombardamenti, portando loro cibo, medicine e generi di prima necessità.

Dalla settimana scorsa, i treni hanno ripreso a funzionare e la gente accampata è stata trasferita in rifugi. «Anche la nostra azione si è, dunque, spostata su questi ultimi e sulle centinaia e centinaia di scantinati-bunker in cui si ammassano gli sfollati dei villaggi circostanti, vicini al fronte», aggiunge monsignor Honcharuk.

Con oltre duemila condomini distrutti, almeno cinquantamila persone sono rimaste senza un tetto. «È il grande dramma ora. Insieme alla mancanza di lavoro». Il conflitto ha paralizzato l’economia. Le fabbriche sono ferme, i negozi chiusi o distrutti. Chi non può contare su qualche risparmio, non riesce più nemmeno a comprare il cibo. E chi aveva qualcosa da parte, dopo oltre tre mesi senza salario, sta finendo le scorte.

«Il mondo ci aiuti, in ogni modo – conclude il vescovo –. Gli ucraini vogliono la pace ma questa non significa solo assenza di guerra. Vuol dire giustizia e libertà. Credo che il Paese abbia diritto a difendersi da un’aggressione illegale e ingiustificata. La comunità globale non può fare finta di niente, anche perché Mosca non si accontenterà di Kiev: purtroppo questa è solo il primo passo. Il Cremlino deve rispettare il diritto internazionale e, se non lo fa, si deve costringere».

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