domenica 14 ottobre 2018
Cecelia Flores, 35 anni, rischiò di morire dopo il terzo parto. Il marito: era già devota di Romero, io l'ho pregato perché intercedesse
Un murale raffigurante Óscar Arnulfo Romero a Panchimalco, El Salvador (Ansa)

Un murale raffigurante Óscar Arnulfo Romero a Panchimalco, El Salvador (Ansa)

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Increduli, frastornati, emozionati. Più di tutto felici. «Potevo non esserci più», afferma Cecilia Flores. Poco più di tre anni fa, questa 35enne di San Salvador è stata sul punto di morire. Dopo il terzo parto, avvenuto il 28 agosto 2015, i medici le avevano scoperto una malattia rara: la sindrome di Hellp. «Dopo un delicato intervento, le avevano dovuto indurre il coma. Quando l’ho vista, distesa e immobile, il suo corpo forato da 14 tubi, ho capito che l’avrei persa», racconta il marito, Alejandro Rivas, 42 anni. Lo stesso specialista aveva ammesso che non c’è più nulla da fare. «Dobbiamo prepararci al peggio», aveva detto ad Alejandro. «Se non è stato così è solo grazie alle preghiere a Dio di “Monseñor”. Siamo qui per ringraziarlo», aggiunge la moglie. La coppia è giunta a Roma insieme ai figli - Emiliano, Rebeca e Luis Carlos -: il regalo della Chiesa salvadoregna alla persona la cui guarigione miracolosa per intercessione di Óscar Arnulfo Romero, come riconosciuto dalla Santa Sede il 6 marzo scorso, ha portato alla canonizzazione odierna dell’arcivescovo martire.

Per la famiglia Rivas Flores - lui tecnico, lei casalinga -, residenti nel quartiere popolare di Mejicanos, è il primo viaggio fuori dal Paese. A renderlo possibile anche il sostegno di alcune persone della comunità neocatecumenale romana - movimento di cui fanno parte -, che li hanno accolti in casa. «I bambini non stanno nella pelle… E nemmeno noi. Parteciperemo alla Messa del Papa in piazza San Pietro. Non l’avrei mai creduto possibile…», aggiunge Alejandro. È stato lui, quella lunga notte dopo aver visto Cecilia in fin di vita, a rivolgersi a Monseñor. «Erano le due del mattino e non potevo dormire. D’un tratto, per caso, ho trovato la Bibbia di mia nonna Rebeca e, fra le pagine, c’era una foto di Romero. Lei gli era tanto devota, a differenza mia. Me ne parlava sempre da bambino. Mi citava brani interi delle sue omelie che ascoltava, ogni domenica, immancabilmente, alla radio. Poi, purtroppo, le troppe bugie “sull’arcivescovo guerrigliero” con cui hanno martellato la mia generazione, mi hanno creato un pregiudizio inconscio nei suoi confronti. In pratica ho iniziato a scoprire questo grande salvadoregno dopo la beatificazione». Quella notte, però, ad Alejandro sono tornate in mente le parole della nonna sul grande amore di Romero per il suo popolo. «Allora l’ho pregato: “So che amavi tanto i salvadoregni. Per favore, ora, intercedi per Cecilia”». L’indomani mattina, quando Alejandro si è recato all’ospedale, ha scoperto che gli organi interni della moglie avevano rincominciato a dare piccoli segni di funzionamento. Una settimana dopo, la donna, ormai fuori pericolo, è stata dimessa.

«Ho sempre creduto nella forza della preghiera. Sperimentarla su di me, però, è stata un’esperienza indescrivibile – conclude Cecilia –. Sono qui con la mia famiglia per pregare San Romero per la Chiesa, che lui tanto amava, e per papa Francesco, affinché lo sostenga nel suo difficile compito. Specie ora. Sono solo un’umile fedele, non ho un’istruzione teologica, ma percepisco, nelle sue parole e nei suoi gesti, la luce di Cristo. Tutti i giorni, in casa, diciamo un’orazione a Monseñor affinché aiuti il Pontefice. E anche tanti amici lo fanno. Nessuno meglio di me sa che Romero ascolta i salvadoregni. E ora cammina al fianco di Francesco».

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