domenica 16 dicembre 2018
Il compleanno del Papa occasione per riflettere sul suo rapporto con i preti. Parla il prebistero di cui fu padrino di ordinazione: per noi resta padre Jorge
«Il Papa sa portare a Gesù tutti, specie i più umili»
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«Auguri padre Jorge. Prego per te. E mi affido alle tue orazioni ». “Padre Jorge”. Diego Fares, gesuita e scrittore de “La Civiltà Cattolica” sorride mentre scandisce queste parole. Per lui - che ha avuto come padrino di ordinazione l’allora provinciale Bergoglio -, papa Francesco continua ad essere “padre Jorge”. «Non solo per me. Una delle cose più belle è che Bergoglio in Argentina è sempre rimasto “padre Jorge”. Quando è diventato vescovo e, poi, cardinale, il popolo ha continuato a chiamarlo così. Perché in lui vedeva sempre e prima di tutto il sacerdote. Anche ora, dopo l’elezione come successore di Pietro, resta “padre Jorge”. Un padre appunto». La capacità di vivere la dimensione sacerdotale e apostolica come paternità reale e tangibile è uno dei tratti distintivi del Pontefice che domani compirà 82 anni. Di cui 49 vissuti da prete.

L’anniversario dell’ordinazione cade, come il compleanno, a dicembre - il 13 -, giorno di Santa Lucia. «Una volta mi ha detto: “Quando morirò, preferirei che mi piangessero i miei figli piuttosto che qualcuno mi costruisse una statua”», prosegue il sacerdote e filosofo argentino, il quale ha coordinato per oltre vent’anni a Buenos Aires l’Hogar San José, la “casa degli invisibili”, ponte tra l’esclusione, in cui sono relegati quanti restano senza dimora, e un’integrazione possibile. «Ho imparato molto da padre Jorge nel rapportarmi con le persone più umili. Lui riusciva sempre a farli arrivare ai sacramenti, a Gesù. Ha insegnato a me e agli altri giovani gesuiti di cui è stato formatore a non negare l’assoluzione a nessuno.

Questo implica il saper ricevere bene chi hai di fronte. Ovvero riuscire a dialogare con lui senza fargli domande indiscrete, che lo blocchino e gli impediscano di aprire il cuore per dire quanto realmente vuole», afferma padre Diego, che ha mantenuto con il “padrino Bergoglio”, conosciuto nella casa porteña di Bajo Flores nel 1975 quando aveva presentato richiesta di ammissione alla Compagnia, un profondo legame spirituale. Non a caso, lo stesso Bergoglio ha voluto regalare il libro di padre Fares - “Dieci cose che papa Francesco propone ai sacerdoti” edito da Áncora - ai celebranti e diaconi dopo la Messa dello scorso Giovedì Santo. Per padre Diego, però, non c’è un «modello ideale di sacerdote».

«Ogni prete deve trovare il proprio modo di vivere il ministero. Certo, Bergoglio è stata una fonte di ispirazione preziosa. In particolare, mi ha sempre colpito uno dei suoi tratti più peculiari. Padre Jorge riusciva a trovare qualcosa di buono in ogni sacerdote. Una volta, gli ho domandato in tono di sfida: “E questo qui che cos’ha di buono?”. Mi riferivo a un gesuita anziano, diventato dipendente dall’alcol e pieno di rabbia. Bergoglio mi ha detto: “Non so che cosa dire. Però, se me lo chiedessi di nuovo fra 40 anni, dopo che abbia perseverato nella Compagnia tanto a lungo come lui, magari riuscirei a risponderti” ». In frasi come questa si esprime ciò che padre Diego ama definire l’abilità di “cardiognosi” del confratello Papa. «L’espressione, in realtà, l’ha coniata un altro gesuita. Bergoglio ha la grazia di conoscerti il cuore quando ti guarda. L’ho sperimentato. Il giorno della mia ordinazione mi confessai con lui. Dopo avermi dato l’assoluzione, si fece serio e mi chiese: “Sei totalmente cosciente di ciò che stai per ricevere?”. Cercai invano la risposta giusta.

Alla fine, riuscii a balbettare solo: “A dire il vero, no”. Allora scoppiò a ridere e disse: “Meno male”. Finalmente potei ridere anche io e mi rilassai. Bergoglio mi aveva liberato dall’ansia di quella giornata. Questo è anche un esempio dell’importanza del senso dell’umorismo per un sacerdote, una delle dieci cose che Francesco propone. Gli auguro e prego perché conservi sempre il suo».

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