giovedì 17 maggio 2018
Il testo mostra un rapporto filiale tra il neo arcivescovo ambrosiano e papa Pacelli di cui fu stretto collaboratore. Il documento pubblicato da Leonardo Sapienza nel libro "La barca di Paolo"
Pio XII con Giovanni Battista Montini

Pio XII con Giovanni Battista Montini

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«Beatissimo Padre, è l’ultima sera del mio soggiorno in Vaticano; domani mattina… partirò per la mia nuova destinazione». È l’incipit della missiva indirizzata a Pio XII a firma di Giovanni Battista Montini, alla vigilia della sua partenza da Roma per l’incarico di arcivescovo di Milano. Se «l’histoire continue », come scriveva George Duby, preme subito qui sottolineare come l’esplorazione della miniera montiniana abbia riportato alla luce fonti inedite importanti palesando la conclusione di un mosaico composto tessera su tessera, documento su documento. È quanto ripercorso work in progress da Leonardo Sapienza in La barca di Paolo per le edizioni San Paolo nella consapevolezza che solo lo scavo nelle fonti costituisce per intero il tentativo di restituire completezza a un itinerario umano, culturale ed ecclesiale; e dunque indirizzato a ricostruire nei termini i tratti più autentici, le scelte, i pronunciamenti e quei passaggi anche storiograficamente discussi della vicenda montiniana.

Così come in questo senso si offrono le singolari pagine rese note dall’autore con l’incoraggiamento di papa Francesco insieme a un breve commento del Pontefice stesso, riguardanti gli autografi vergati da Paolo VI il 2 maggio 1965, ad appena due anni dall’elezione, nei quali è considerata l’eventualità delle sue dimissioni. Indirizzate al suo segretario di Stato e al decano del Collegio cardinalizio, le lettere prevedono questa possibilità «in caso di infermità, che si presuma inguaribile, o di lunga durata, e che ci impedisca di esercitare sufficientemente le funzioni del nostro ministero apostolico» o altro «grave e prolungato impedimento» che gli avesse reso impossibile «esercitare con sufficiente efficacia l’apostolico ufficio». Lettere che, nel suo breve commento, papa Francesco confessa di aver letto «con stupore», come «umile e profetica testimonianza di amore a Cristo e alla sua Chiesa», come «precisa volontà» e «responsabilità» di fronte ad essa, come «ulteriore prova della santità di questo grande Papa». Ma il tassello degli autografi ha certamente significato anche per la comprensione di un rapporto come quello intessuto tra Pio XII e il suo strettissimo collaboratore e per uno dei passaggi controversi nell’iter del Papa bresciano: la nota questione dell’«esilio» a Milano. Passaggio che nella stessa Positio super virtutibus , redatta nel corso della causa di canonizzazione di Paolo VI, è rilevato tra le questiones selectae.

In merito alla nomina dell’allora pro-segretario di Stato Montini ad arcivescovo di Milano il primo novembre del 1954, in seguito alla morte del cardinale Ildefonso Schuster, diverse ipotesi sono state infatti avanzate dalla pubblicistica e dalla sto- riografia sulla scelta pontificia. Più che una promozione, la nomina è stata spesso ritenuta una punizione, un voluto allontanamento, sollecitato da alcuni ambienti vaticani o anche una palese manifestazione della sfiducia di Pio XII nei confronti di uno dei suoi più stretti collaboratori e che sarebbe stata maturata a seguito di profonde divergenze d’opinione, in particolare sulla contingenza della politica italiana. Secondo queste ricostruzioni Pio XII si sarebbe fatto consigliare da quella parte del suo entourage contraria al Sostituto prima e al pro-segretario di Stato poi. Ma vi è anche chi ha sostenuto che si è trattato di una scelta mirata di papa Pacelli per dare a Montini la possibilità di maturare un’esperienza pastorale di prim’ordine ed essere così preparato a prendere un giorno il suo posto. Certa è, in quest’ultima prospettiva, la dimostrazione da parte del futuro Paolo VI dell’inalterata devozione nei riguardi del Pontefice con il quale ha collaborato, in diverse forme, per decenni. Se è vero, dalle risultanze della documentazione esistente, che Montini aveva sperato di rimanere nel suo ufficio romano in segreteria di Stato, a fianco del Papa e che seppure lo aveva turbato il timore «di non essere pari all’arduo e complesso mandato» come scrive nel primo saluto all’arcidiocesi ambrosiana, pure lo confortava «il sostegno e la fiducia del Vicario di Cristo».

Nella lettera ora pubblicata scritta alla vigilia della missione ambrosiana emergono i contorni delicati di un legame che fugano certamente una presunta sfiducia di Pio XII nei confronti di Montini: «Quello poi che Vostra Santità ha voluto prodigarmi in questo epilogo del mio servizio umilissimo, di predilezione singolarissima mi ha colmato di commozione e di conforto – scrive nella missiva datata 3 gennaio 1955 –. In tanta effusione del Suo cuore regale e paterno voglio vedere un segno dell’assistenza divina, che sostiene il mio animo ancora attonito e pauroso, che mi dà confidenza al nuovo, immane lavoro, che mi arricchisce d’un viatico di sapienza di cui si varrà, quanto lungo, il mio restante cammino. Padre Santo, vorrei dirVi tante cose e lasciarVi qualche consolazione; ma non so». Questa lettera rinvenuta ad anni di distanza dalle regestazioni degli archivi di Montini, se da un lato ci svela la grandezza d’animo e l’esercizio della virtù dell’obbedienza, sollecita tuttavia ad aprire nuovi campi di indagine su un rapporto, quello con Pio XII, che ebbe primaria importanza nella vicenda umana e spirituale di papa Montini e sul quale trapelano aspetti che meritano ancora una doverosa e necessaria esplorazione e un’opportuna riflessione alla luce di quel servizio alla Chiesa di Cristo che rimane «in mezzo alle tempeste della storia » per «predicare a tutti il Vangelo di salvezza».

Il testo integrale della lettera di Montini a Pio XII

Beatissimo Padre,

è l’ultima sera del mio soggiorno in Vaticano; domani mattina, dopo aver celebrato la santa Messa, a San Pietro, su l’altare di San Pio decimo, partirò per la mia nuova destinazione.
Dire quali siano i miei sentimenti al momento del mio distacco fisico da questa dimora benedetta non mi è possibile. Ma vincendo il turbine dei ricordi, delle impressioni, dei pensieri e dei propositi, sento il prepotente bisogno di dire a Vostra Santità la mia vivissima, filiale gratitudine per benefici, che la quantità stessa non mi permette di numerare, e la grandezza di misurare, venuti a me dalla paterna, generosa, sempre nuova e sempre affabile bontà della Santità Vostra.
Quello poi che Vostra Santità ha voluto prodigarmi, in questo epilogo del mio servizio umilissimo, di predilezione singolarissima mi ha colmato di commozione e di conforto. In tanta effusione del Suo cuore regale e paterno voglio vedere un segno dell’assistenza divina, che sostiene il mio animo ancora attonito e pauroso, che mi dà confidenza al nuovo, immane lavoro, che mi arricchisce d’un viatico di sapienza di cui si varrà, quanto lungo, il mio restante cammino.
Padre Santo, vorrei dirVi tante cose e lasciarVi qualche consolazione; ma non so.
La preghiera e l’offerta dei miei umili sforzi nel lavoro pastorale saliranno al Signore per la salute di Vostra Santità, per la Sua grande opera apostolica, per la Chiesa di Dio.
E non mai stanco di chiedere, imploro ancora una benedizione per le anime tutte che Vostra Santità affida alle mie cure e per il minimo, ma fedelissimo, gratissimo, affezionatissimo Vostro figlio e servitore, che prostrato al bacio del Sacro Piede si dice
della Santità Vostra
devotissimo, umilissimo, obbligatissimo

Giovanni Battista Montini
Dal Vaticano, 3 gennaio 1955

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