giovedì 2 ottobre 2014
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«Come possiamo trasmettere ai figli i valori di riferimento che hanno guidato la nostra vita? Come trovare le parole giuste per spiegare loro la differenza tra bene e male in un clima culturale dove tutto sembra sfumato, confuso, difficilmente distinguibile? E, soprattutto, come accompagnarli alla scoperta della fede in modo via via sempre più consapevole?». Sono le domande che ogni genitore si pone e che, spesso in modo drammatico e lacerante, rappresentano per ogni famiglia cristiana una questione aperta, che ogni giorno va affrontata e rimodulata con pazienza e fantasia. Perché in una società dove la piattaforma dei valori condivisi sembra restringersi in modo conflittuale e drammatico, la grande questione educativa attraversa ogni fase della vita e si ripropone senza interruzione di fronte ai tanti piccoli e grandi problemi da affrontare. La sfida rappresentata dalla trasmissione dei valori e, in particolare, dall’educazione alla fede è naturalmente al centro di vari paragrafi dell’Instrumentun laboris e quindi, tra un paio di giorni, intercetterà le tante questioni nell’agenda dei padri sinodali. «L’azione pastorale della Chiesa è chiamata ad aiutare le famiglie nel loro compito educativo, a cominciare dall’educazione cristiana», si legge nel documento che sintetizza le migliaia di risposte giunte da tutto il mondo alla Segreteria del Sinodo. Sfida complessa e talvolta improba perché direttamente legata «al profondo cambiamento nel rapporto tra le generazioni, che condiziona la comunicazione dei valori nella realtà familiare». L’Instrumentum opera poi un’opportuna distinzione tra le difficoltà educative delle varie aree geografiche. Nell’Occidente il forte conflitto generazionale, figlio delle rivoluzioni culturali degli anni Sessanta e Settanta, «rende i genitori molto cauti nello spingere i figli alla pratica religiosa». Quasi che troppi padri e madri fossero convinti della necessità di lasciare "campo libero" alle scelte dei loro figli. Errore spesso irreparabile perché non raccontare Dio ai piccoli, significa di fatto negarlo, escluderlo dal loro orizzonte. «Questo – si legge ancora nel documento che rappresenta la traccia dei lavori per il prossimo Sinodo – sembra attestare una fragilità degli adulti e soprattutto dei giovani a trasmettere con gioia e convinzione il dono della fede». Il panorama rappresentato dalla sfida educativa rimane comunque «complesso e mutevole», pesantemente segnato anche dalla crisi che tocca un numero crescente di famiglie. È purtroppo statisticamente dimostrato che le difficoltà educative viaggiano in senso direttamente proporzionale alle disgregazioni familiari. Da qui, soprattutto in Occidente, i problemi crescenti di numerose Chiese locali. Ma anche in questo caso le distinzioni sono numerose. Un conto sono le famiglie separate, un altro quando i figli vivono in famiglie "ricomposte" in cui i genitori siano in disaccordo riguardo al percorso di iniziazione cristiana. «In questi casi la Chiesa è chiamata ad assumere un ruolo di mediazione importante, attraverso la comprensione e il dialogo». Ci sono bambini che vivono nell’ambito di unioni omosessuali. Realtà «ancora circoscritta – spiega l’Instrumentum – a Paesi "liberal-progressisti", ma che al momento non suscita interrogativi pastorali specifici». Probabilmente per l’esiguità dei casi che non permette di avere un quadro statistico significativo. Molto più rilevante il problema delle ragazze madri, in particolare nei Paesi dell’America latina, dove «non di rado queste mamme devono delegare l’educazione dei figli al clan familiare». Con tutte gli interrogativi del caso e con il rischio rappresentato dal fenomeno dei "ragazzi di strada".
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