sabato 11 agosto 2018
Fra emarginazione e disagio l’impegno di universitari e ragazzi in servizio civile nel quartiere palermitano del prete beato. «Così portiamo avanti le intuizioni del sacerdote del sorriso»
I volontari del Centro Padre Nostro durante un momento di animazione con i ragazzi di Brancaccio

I volontari del Centro Padre Nostro durante un momento di animazione con i ragazzi di Brancaccio

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«Ma chi te lo fa fare?». Giulia Bongiorno si è sentita ripetere parecchie volte questa domanda dagli amici. Perché lei viene dalla “Palermo bene” e finire a Brancaccio, nel quartiere dell’emarginazione che è stato il bunker di Cosa Nostra, fa un certo effetto. «È vero, Brancaccio è un altro mondo rispetto alla zona in cui sono nata e vivo. Ma, se non ci rimbocchiamo le maniche, non cambierà mai nulla. Padre Pino Puglisi lo ripeteva e lo ha fatto in prima persona». Ventidue anni, studentessa in psicologia all’Università di Palermo, è una delle volontarie che svolgono il servizio civile nel Centro Padre Nostro, il presidio di accoglienza e riscatto che il beato ha fondato nel cuore del rione. Oggi sono una trentina. «Ho conosciuto in parrocchia la figura di don Puglisi – racconta –. E a scuola un’insegnante ci diceva: è un autentico santo perché toglie dalla strada i ragazzini che sono già impregnati di mentalità criminale. E ce lo descriveva come un uomo piccolo e semplice». Parole che sono rimaste scolpite nella mente di Giulia. «Eppure a Brancaccio non avevo mai avuto il coraggio di mettere piede». Finché non è entrata nella casa-museo di don Puglisi, nell’appartamento di fronte al quale il sacerdote è stato ucciso venticinque anni fa. «Nella sua camera – afferma – ho avvertito un richiamo». Poi l’incontro con il fratello del prete beato, Francesco. «E oggi sono qui ogni giorno, accanto agli anziani e ai bambini che il Centro Padre Nostro segue». Una pausa. E aggiunge: «Noi giovani, spesso sfiduciati in un tempo di crisi, dobbiamo seguire l’esempio di chi, come don Puglisi, ha cambiato la storia partendo dal basso».

Anche Vincenzo Costanzo è impegnato sui passi del “prete del sorriso”. Ventisette anni, educatore dell’Azione cattolica, viene dalla parrocchia del Santissimo Salvatore nella borgata di Settecannoli, limitrofa a Brancaccio, dove don Puglisi aveva svolto il suo primo incarico da sacerdote dopo l’ordinazione. «Il suo ricordo – spiega – è ben vivo nella comunità. E non poteva essere altrimenti di fronte a un prete che ha immolato la vita per la sua gente». Nel quartiere “dimenticato” Vincenzo si occupa del recupero scolastico. «Ogni pomeriggio aiutiamo bambini e adolescenti a non rinunciare ad avere un’istruzione. Qui l’abbandono scolastico è una piaga sociale. Ed è anche sull’ignoranza che fa breccia la violenza. Padre Puglisi lo aveva compreso con lungimiranza». Poi, con soddisfazione, rivela: «Grazie a noi del Centro, comunque, anche diversi adulti hanno potuto prendere la licenza di terza media...».

Si dedica al “Free time”, ossia alle attività che riempiono il tempo libero dei ragazzi, Francesca Scalici. Ventinove anni, ha alle spalle un’esperienza nelle forze amate. «Quando sono arrivata a Brancaccio, io abituata alla disciplina e all’ordine, mi sentivo in una giungla». Adesso non lo pensa più. «Sì, sono sempre in mezzo ai bambini. Sono senza regole, ma hanno un grande bisogno di affetto. E, appena si accorgono che qualcuno è al loro fianco, ricambiano quel poco che dai loro in modo straordinario. Ogni volta mi commuovo quando ricevo le lettere in cui trovo scritto: “Ti voglio bene”». Ad accompagnare Francesca – confida lei stessa – è «il volto raggiante di padre Puglisi». E fa sapere: «Aveva ragione don Pino. Serve partire dai ragazzi. Soltanto così il messaggio può arrivare alle famiglie. Evitare che i ragazzi siano abbandonanti a se stessi e prendano brutte pieghe è fondamentale». Qualcuno sta chiamando Francesca. «Devo andare. I bambini mi aspettano di là». E fugge fra le stanze dell’auditorium che il Centro Padre Nostro ha intitolato a Giuseppe Di Matteo, il piccolo sciolto nell’acido dalla mafia. Per non dimenticare.


COME CONTRIBUIRE AL NUOVO ASILO DEDICATO A PADRE PUGLISI

Un gesto concreto di solidarietà per celebrare il 25° anniversario del martirio del beato Pino Puglisi, il prete siciliano ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993 di fronte alla sua casa di Palermo. Il Centro di Accoglienza Padre Nostro, voluto dallo stesso padre Puglisi nel capoluogo siciliano, e la Fondazione Giovanni Paolo II, insieme con l’arcidiocesi di Palermo, il Comune di Palermo e Avvenire intendono realizzare l’ultimo sogno del sacerdote “profeta” per il suo quartiere Brancaccio a Palermo: la costruzione del nuovo asilo nido. Posiamo insieme la prima pietra.

È possibile contribuire al “sogno” di padre Pino Puglisi attraverso:
- bonifico bancario intestato a Fondazione Giovanni Paolo II utilizzando il seguente IBAN IT84U0503403259000000160407 (va inserito anche l’indirizzo di chi versa nel campo causale);
- bollettino sul conto corrente postale n. 95695854 intestato a Fondazione Giovanni Paolo II, via Roma, 3 - 52015 Pratovecchio Stia (AR). Causale: “Asilo Don Puglisi”;
- carta di credito o PayPal sul sito www.ipiccolidi3p.it.
Partecipa al progetto con la tua parrocchia o associazione, con i tuoi familiari o amici. Facendo una donazione si avrà diritto alle agevolazioni fiscali previste dalla legge. I dati saranno trattati ai sensi dell’art.13, regolamento europeo 679/2016 (c.d. “GDPR”).



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