martedì 19 maggio 2020
In tempi di consumismo il pontificato di Giovani Paolo II ha scommesso sull’idealismo giovanile Da artista devo ricordare i suoi sforzi per cancellare il divorzio tra Chiesa e cultura
Giovanni Paolo II e il regista polacco Krzysztof Zanussi nel 1981

Giovanni Paolo II e il regista polacco Krzysztof Zanussi nel 1981 - .

COMMENTA E CONDIVIDI

Pubblichiamo il testo, inedito in italiano, scritto dal regista Krzysztof Zanussi su Giovanni Paolo II. L’articolo intitolato “Che cosa ci ha lasciato?” è comparso in originale polacco sulla rivista Wszystko Co Najwazniejsze.

«Che cosa ci ha lasciato?». Vale la pena fare una domanda del genere? I giudizi della storia sono mutevoli e mai definitivi. Li formuliamo volentieri in occasione di anniversari tondi che, oltretutto, non hanno alcun significato oggettivo. Che cosa ci ha lasciato Giovanni Paolo II, guardando dalla prospettiva di un secolo dalla sua nascita? La risposta sarà diversa a seconda se guardiamo con gli occhi dei suoi compatrioti polacchi, dei compagni di fede, cattolici o cristiani, o se cerchiamo di collocarlo come statista, politico o filosofo. Il mio punto di vista, da artista cattolico ed ex studente di scienze, mi obbliga a mettere in primo piano il fatto che il pontificato di Giovanni Paolo II ha aperto il cattolicesimo al futuro, mettendo a tacere quella nota di nostalgia che risuonava nella Chiesa dai tempi in cui essa deteneva il potere secolare.

Questo Papa ha puntato sulla gioventù. In tempi di consumismo ha scommesso sull’idealismo giovanile. Ha cercato di convincere i dubbiosi che la spiritualità fosse progressista. Allo stesso tempo ha indirizzato il suo messaggio a tutti i contemporanei, non solo ai credenti, ha rafforzato il dialogo con i non credenti e ha voluto andare incontro alle altre fedi. L’incontro memorabile ad Assisi, contestato all’interno della stessa Chiesa cattolica, fu una svolta nella storia del cristianesimo. Allo stesso modo dobbiamo ricordare la sua visita alla sinagoga di Roma e una profonda apertura al giudaismo. Anche l’esame di coscienza dei cattolici e l’ammissione aperta delle loro colpe, commesse in nome di Dio, costituirono una svolta.

Da artista, devo ricordare gli sforzi di Giovanni Paolo II per cancellare il divorzio avvenuto tra Chiesa e cultura. Giovanni Paolo II ha iniziato come artista, era attore, drammaturgo e poeta. Rimase poeta fino alla fine della sua vita: poco prima della sua morte pubblicò la poesia “Trittico romano”. Si può (come ha fatto con grande disinvoltura il filosofo Sloterdijk) negare la grandezza di questa poesia, ma penso che in tale giudizio ci sia più ritorsione che obiettività. Giovanni Paolo II ha attinto al linguaggio dell’arte quando il linguaggio delle encicliche si era esaurito. Basta questo come prova della serietà con cui il Papa approcciava la cultura. Ne furono espressione la sua famosa lettera agli artisti, nonché la decisione di istituire il Pontificio Consiglio della cultura. Come primo non italiano sulla cattedra di Pietro dopo quattrocento anni, Giovanni Paolo II ha avuto molti meriti nel processo, estremamente difficile, di superare italocentrismo, eurocentrismo e chiusura del cattolicesimo a un ambito solo occidentale. Non era un grande ammini-stratore: essendone consapevole, non ha cercato di riorganizzare profondamente la Curia Romana, ma, con i suoi viaggi, l’ha costretta a uscire fuori dalle mura del Vaticano. L’opinione pubblica laica di solito inizia la valutazione di questo pontificato citando i suoi meriti di natura po-litica, quali il contributo del Papa allo smantellamento, quasi senza spargimento di sangue, del comunismo.


Ha rafforzato il dialogo con i non credenti e ha voluto andare incontro alle altre fedi. L’incontro memorabile ad Assisi, contestato all’interno della stessa Chiesa cattolica, fu una svolta nella storia del cristianesimo

È un merito innegabile. Oggi a distanza di anni sappiamo che il comunismo non aveva più alcuna forza di attrazione seria, che era profondamente radicato nel secolo passato, che era un’ideologia sterile e Giovanni Paolo II lo aveva capito meglio di molti politici in Occidente. In occasione degli anniversari gli errori di solito non vengono quasi ricordati, anche se ogni persona che opera nello spazio pubblico ne commette sempre tanti. Oggi, dopo anni, sento soprattutto accuse riguardanti le scelte personali e l’eccessiva fiducia che il Papa riponeva in persone che aveva nominato. Molti di questi rimproveri sono giustificati, ma guardando dalla prospettiva polacca vedo una giustificazione per un uomo che per molti anni del suo ministero episcopale in un paese comunista aveva dovuto costantemente fronteggiare ogni sorta di notizie false (a quel tempo non si diceva fake news) riguardanti lui stesso e altri uomini nobili al servizio della Chiesa polacca. Proprio contro di loro le autorità fabbricavano documenti che avevano tutte le caratteristiche per sembrare autentici, ma erano completamente falsi. Più tardi in Vaticano, di fronte a scandali finanziari o morali, Giovanni Paolo II più volte non credette alle testimonianze di chi denunciava delle colpe, riponendo la sua fiducia in persone di cui sarebbe stato meglio non fidarsi.

Quando, per vie non ufficiali e attraverso le barriere della burocrazia vaticana, la notizia delle molestie che alcuni chierici aveva subito da parte dell’arcivescovo Paetz raggiunse il Papa, le dimissioni furono immediate. Infine, mi permetto di esprimere un’opinione che potrebbe sorprendere molti. Enuncio questo punto di vista da uomo un tempo vicino alle scienze esatte e, successivamente, agli studi filosofici. Giovanni Paolo II aveva una solida carriera accademica alle spalle, ha lasciato opere preziose, al confine tra teologia e filosofia. Secondo me, il più interessante dei suoi punti di vista riguarda la carnalità, cosa senza dubbio legata alle sue esperienze di vita. Fu il primo Papa in assoluto a praticare attivamente gli sport, con profonda considerazione del corpo. Il suo rigoroso insegnamento in materia sessuale va di pari passo con la lode dell’amore fisico. Dal punto di vista della critica, questo rigore non si interseca con il realismo, ma, in fin dei conti, l’intero messaggio cristiano invoca l’eroismo. Tuttavia, non volevo scrivere di questo. Cercando una risposta alla domanda su cosa rimarrà nel tempo di questo pontificato, suggerisco il seguente pensiero: il cristianesimo, in particolare occidentale, nonostante molte esitazioni nel corso dei secoli, ha adottato un’alleanza con la ragione (a differenza, ad esempio, dell’Islam, in cui un califfo ha deciso di rompere con la filosofia greca e tutt’oggi vediamo gli effetti di questa decisione). Giovanni Paolo II ha riabilitato Galileo con grande enfasi, ammettendo che il suo processo fu un errore della Chiesa.

A molti questa iniziativa sembrò di scarso significato, mentre per il Papa era un’importante correzione della posizione della Chiesa riguardo alla scienza, alla libertà di ricerca scientifica e alla delimitazione dei campi in cui la fede e la scienza sono indipendenti l’una dall’altra. Per tutta la durata del suo lungo pontificato, ogni due anni a Castel Gandolfo si sono svolti incontri del Papa con uomini della scienza, durante i quali egli ascoltava e poneva le domande, non insegnava. Noto frutto delle riflessioni fatte in quelle circostanze fu poi una delle encicliche, Fides et ratio. Durante il lavoro su questa enciclica, accadde un evento ben descritto da due testimoni polacchi che presero parte agli incontri: il sacerdote prof Michal Heller, fisico e teologo, vincitore del Premio Templeton e l’arcivescovo prof. Józef Zycinski. Ebbene, Giovanni Paolo II arrivò alla convinzione che nel drammatico conflitto tra la ragione e la Chiesa vale la pena fare un appello affinché, così come nella scolastica i titani del pensiero occidentale, con Tommaso D’Aquino in testa, avevano a disposizione tutti gli strumenti delle scienze esatte di allora, anche oggi la teologia utilizzi i metodi di ragionamento, cioè gli strumenti elaborati dai padri della scienza moderna: teoria della relatività, meccanica quantistica, nonché gli apporti della biologia e di tutte le altre scienze. Inizialmente, questo appello doveva essere reso pubblico prima che venisse redatta l’enciclica, ma al Papa arrivò un avvertimento che tale dichiarazione sarebbe stata poi utilizzata da schiere di incolti sotto il segno del New Age e che solo pochi dei teologi di oggi avevano competenze nella scienze contemporanee. Di conseguenza, il pensiero che avrebbe potuto avere un carattere rivoluzionario per la teologia e per la Chiesa cattolica, si ritrovò in un documento di rango inferiore, qual era la lettera pubblica del Papa al direttore di Specola Vaticana, cioè l’osservatorio astronomico gestito dai papi, che sono anche i responsabili del calendario occidentale. Sono personalmente convinto che, seguendo le orme di Einstein - nei fatti un uomo ateo, ma che dichiarava di sentire il Mistero e diceva che chiunque non lo senta è semplicemente cieco e sordo - si può notare che il Mistero è la base di ogni sensibilità religiosa, e che il quadro moderno del mondo fisico ha smesso di essere (come nel secolo scorso) deterministico. La sua immagine si basa piuttosto sul probabilismo, mentre il caso, agli occhi dei credenti di molte religioni, è una maschera dietro la quale può nascondersi il Mistero - cioè Dio, che è al di là del tempo e dello spazio, quindi l’uomo non è in grado di abbracciarlo con la sua immaginazione. Se il pensiero di Giovanni Paolo II si traducesse nella trasformazione della teologia in scienza veramente moderna, ciò potrebbe rappresentare il massimo valore del suo pontificato. Ma questo lo mostrerà la storia. © RIPRODUZIONE RISERVATA Ha rafforzato il dialogo con i non credenti e ha voluto andare incontro alle altre fedi. L’incontro memorabile ad Assisi, contestato all’interno della stessa Chiesa cattolica, fu una svolta nella storia del cristianesimo Giovanni Paolo II e il regista polacco Krzysztof Zanussi nel 1981

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI