venerdì 16 gennaio 2015
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Le Filippine sono pronte. E aspettano Francesco con lo stesso entusiasmo di vent’anni fa, quando accolsero Giovanni Paolo II. Quella visita è entrata nella storia per la straordinaria Messa del 15 gennaio 1995 con oltre quattro milioni di fedeli. La più partecipata di sempre. «Ma vedrete che anche questa volta sapremo essere all’altezza delle attese», dice don Gregory Ramon Gaston, rettore del Pontificio Seminario filippino di Roma. Il sacerdote, 49 anni che non dimostra, 21 di Messa, di cui gli ultimi quattro passati nel prestigioso incarico, accompagna il Pontefice sull’aereo papale. Così come 14 giornalisti delle maggiori testate nazionali. «E anche questo fatto – sottolinea – la dice lunga sull’importanza dell’evento, dato che da mesi in ogni giornale e telegiornale non manca mai una sezione dedicata alla visita del Santo Padre». Francesco, del resto, fin dall’inizio del suo pontificato ha fatto intendere quanto tenga alle Filippine. Nel febbraio del 2014 ha creato cardinale Orlando Quevedo, arcivescovo di Cotabato, diocesi del sud alle prese con il fondamentalismo islamico. A ottobre scorso ha voluto il cardinale Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila, fra i porporati che hanno svolto il ruolo di presidente delegato del Sinodo straordinario sulla famiglia. E ora la visita completa in un certo senso il puzzle.Quale volto la Chiesa filippina mostrerà al Papa al suo arrivo?Il volto di una Chiesa che ricambia profondamente l’affetto del Successore di Pietro. Una Chiesa che in questi anni ha rafforzato la sua presenza nella società e nella cultura, ma non ha certo dimenticato i poveri, diventando punto di riferimento per molti.Una Chiesa senza problemi, dunque? Non ho detto questo. Dobbiamo affrontare grandi sfide, prima tra tutte la grande povertà della nostra gente, che soffre non solo a causa delle ingiustizie, delle disparità sociali e della violenza, ma anche per alcuni eventi naturali come il tifone Yolanda del 2013. Penso però che, prima ancora di tutte queste difficoltà, la sfida più grande per la nostra Chiesa sia quella della catechesi e dell’evangelizzazione. Perché, se la gente non conosce a fondo l’insegnamento di Gesù, è difficile che la grazia di Dio operi in ciascuno di noi. Dobbiamo riesaminare continuamente la nostra vita di fede e renderla più evangelica. Anche al fine di aiutare i poveri. Che cosa è rimasto venti anni dopo la visita di Giovanni Paolo II?Quella visita è penetrata in profondità e ci ha aiutato molto a diffondere la parola di Gesù. Anche molte vocazioni sono nate da quell’evento. Ho diversi amici sacerdoti, più giovani di me, che mi hanno detto di aver ricevuto la chiamata, proprio in quei giorni.Papa Francesco chiede una Chiesa in uscita verso le periferie, che nelle Filippine sono purtroppo molte. Che cosa fa la Chiesa per i poveri?Ci sono tanti progetti nelle parrocchie e attraverso la Caritas. Numerosi gruppi laicali e congregazioni religiose si dedicano alla cura degli ultimi, degli orfani e degli ammalati. La novità degli ultimi anni è che anche alcune aziende del settore privato hanno cominciato a offrire il loro contributo, attraverso la Chiesa filippina, per aiutare i poveri. La visita di Papa Francesco sarà sicuramente un incentivo a fare di più. Per tutti.In che modo la Chiesa filippina potrà avere un ruolo nell’evangelizzazione del continente?Abbiamo già tanti missionari filippini in diverse nazioni dell’Asia e anche in Cina. E pure i nostri laici, quando vanno a lavorare fuori, portano con sé anche la parola di Dio. Aspettiamo dal Papa un rinnovato mandato missionario.
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