mercoledì 15 ottobre 2014
COMMENTA E CONDIVIDI
Paolo VI, ovvero, «la santità vissuta nel nascondimento» a servizio della Chiesa. Un paradosso se solo si pensa che egli fu «al centro e al culmine della visibilità». Ma un paradosso che oggi brilla di una rinnovata luce. Lo scrive l’arcivescovo Rino Fisichella nel libro dedicato all’ormai imminente beato (Ho incontrato Paolo VI, San Paolo, 123 pagg., 14 euro) in cui il presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, che è stato ponente della causa di beatificazione, condensa gli aspetti più emblematici della santità del Pontefice che tra l’altro inventò il Sinodo. «L’aver collocato la sua beatificazione alla fine del Sinodo – afferma Fisichella – è come concentrare uno spot di luce sulla sua visione della Chiesa e sul servizio che alla Chiesa ha reso, anche attraverso la dimensione della collegialità.E il Sinodo diventava segno evidente di collegialità.Esattamente. Un Sinodo che tra l’altro è diventato un’istituzione di grande interesse presso il popolo di Dio, per le tematiche che vengono affrontate, come è dimostrato ad esempio da quello sulla nuova evangelizzazione e da questa assemblea sulla famiglia.Se Paolo VI entrasse oggi nell’Aula sinodale che cosa direbbe?Penso che ancora una volta gioirebbe nel vedere raccolta la Chiesa nella sua universalità e, come sempre, sarebbe capace di fare una profonda sintesi di ciò che viene detto. Non dimentichiamo che Montini è stato l’uomo che il Signore ha posto a capo della sua Chiesa in un momento drammatico. Si trattava di continuare il Concilio e di attuarne l’insegnamento nel pieno della crisi del ’68. E lui è stato capace di una lungimiranza che solo oggi riusciamo a percepire nella sua ampiezza. Proprio sul ’68, ad esempio, non espresse un giudizio di condanna generalizzata. Certo, ne vedeva anche i limiti, ma cercò cogliere gli elementi positivi del movimento, a partire dalle attese e dalle speranze che incarnava. Dunque, anche nel Sinodo in corso credo che farebbe emergere la grande positività delle testimonianze delle coppie, che sono espressione della vitalità delle nostre famiglie.Dalla causa di beatificazione quale santità emerge?Dai documenti e dalle 169 testimonianze emerge una santità che si esprime nel suo darsi totalmente al Signore nel servizio alla Chiesa. Senza riserve, senza tenere nulla per sé. E insieme risalta la sua profonda umiltà. Mi piace riportare un brano della Commissione storica, che ho citato nel libro, laddove i periti concordano «nel ritrovarsi dinanzi a una personalità obiettivamente straordinaria, ricchissima, poliedrica. Avvertono di essere approdati alla soglia di un mondo interiore profondissimo, inesauribile, semplicemente, essenzialmente, coerentemente, costantemente evangelico».Quali altri aspetti sono messi in luce dalla causa?Ad esempio il capovolgimento di alcuni luoghi comuni. È stato detto che Montini non sapeva comunicare. In realtà alcune sue espressioni sono rimaste proverbiali e oggi sarebbero dei tweet perfetti. «Il mondo soffre per la mancanza di pensiero». «Lo sviluppo è il nuovo nome della pace». «Esperti in umanità». «Il mondo di oggi ascolta più volentieri i testimoni che i maestri». «La politica è la più alta forma della carità». Espressioni tipiche di un’intelligenza, profondamente illuminata dalla fede e perciò capace di andare alla radice dei problemi. Paolo VI è stato poi accusato di amletismo, per la presunta incapacità di decidere. Non è assolutamente così e basterebbe la grande drammatica scelta fatta a proposito della Humanae Vitae a testimoniarlo. In realtà è stata scambiata per amletismo la sua capacità di cogliere la complessità dei problemi e di non fermarsi soltanto a un aspetto, cercando risposte coerenti basate sullo studio, sulla riflessione e sulla pazienza. Infine non è vero che fosse una persona triste. In lui prevalevano la gioia della fede e una profonda serenità d’animo. Anche di fronte al dramma di quegli anni, in cui non era il sorriso l’atteggiamento più adatto.Francesco si richiama spesso a Paolo VI. Quale rapporto tra i due Pontefici?Penso che il rapporto si trovi nel servizio alla Chiesa realizzato alla luce del Concilio. Non dimentichiamo che papa Francesco è il primo Pontefice della generazione di vescovi successiva al Vaticano II. Ma ha fatto dell’insegnamento conciliare il nutrimento del suo magistero. E quindi Paolo VI non può non essere per lui un costante punto di riferimento.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: