venerdì 1 febbraio 2019
La "lezione" della Gmg di Panama per i giovani italiani (e per la nostra Chiesa) nelle parole del direttore del Servizio nazionale di pastorale giovanile. "Ora pensare nuove forme di accompagnamento".
Falabretti: noi forestieri, Panama scuola di accoglienza

Agenzia Romano Siciliani

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Da Panama arriva un messaggio forte alla Pastorale giovanile italiana: nessuna paura di ripensare le forme dell’accompagnamento dei giovani. In che modo lo spiega don Michele Falabretti, responsabile del Servizio nazionale per la pastorale giovanile, che fa un bilancio della Gmg e guarda al cammino dei prossimi mesi.
Don Falabretti, com’è andata questa Gmg?
La Gmg è sempre un’esperienza molto forte, intensa, e chi ha la fortuna di poter partecipare ha sempre la preziosa possibilità non solo di condividere la fede ma anche di incontrare una cultura diversa e qui a Panama siamo stati contagiati dalla capacità di far festa dei popoli del Centro America. Vivendo questa estate nel cuore dell’inverno italiano ci siamo sentiti catapultati in un mondo diverso, con la sensazione di essere un po’ in un sogno. Questo di certo ci rende un po’ più difficile il rientro a casa, però è una sfida che appartiene all’esperienza della Gmg e va accettata.
I pellegrini italiani come hanno vissuto Panama 2019?
Con grande entusiasmo. Alcune piccole situazioni di difficoltà, tutte risolte senza grossi problemi, mi hanno fatto riflettere sul tema dell’accoglienza e su quanto stiamo sperimentando in Italia e in Europa, dove non ci rendiamo conto di cosa significhi essere “forestieri”, cioè riconoscere che l’altro mi sta accogliendo. Ci lamentiamo che gli altri sono pieni di pretese nei nostri confronti ma, messi nella stessa loro situazione, istintivamente ci comportiamo allo stesso modo. Questo dovrebbe aiutarci a capire che quando sei lontano da casa hai bisogno subito di essere rassicurato, sei hai un problema vorresti subito una risposta non perché la pretendi, anche se all’esterno appare così, ma perché hai paura, perché ti senti fragile.
E come sono stati i panamensi?
Abbiamo incontrato un popolo davvero buono, persone capaci di farsi da parte per fare spazio all’ospite, fino ad esempio a rinunciare a stare nelle prime file durante un evento, la visita del Papa, che per loro è e sarà unico. Sono stati capaci di aprire il loro cuore per fare spazio a noi: questo incontro con un popolo che ti vuole bene e si mette al tuo servizio è una delle cose da portare a casa, perché l’egoismo ci sta prendendo troppo il cuore.
Le catechesi degli italiani sono state proposte in una formula diversa: come è andata?
Anche se non c’è stato un grande evento unitario di festa, abbiamo avuto la possibilità di condividere ogni giorno piccoli momenti d’incontro, che hanno coinvolto tutti. Negli ultimi anni le catechesi erano diventate impegnative e i ragazzi facevano fatica a parteciparvi in maniera attiva. A Panama, lavorando in piccoli gruppi, abbiamo messo in campo un metodo che ci permette di coinvolgere meglio i giovani. Ha avuto un ruolo anche l’età più alta dei partecipanti: non dobbiamo avere paura di far aspettare i più piccoli, perché la Gmg richiede maturità. L’efficacia delle catechesi è stata notata anche dai vescovi (in realtà è stata notata pure da altre conferenze episcopali e dal Dicastero).
E sarà possibile proporla anche con numeri più grandi di partecipanti?
Sì, di sicuro moltiplicando le voci di chi vescovi e altri educatori. Questo schema ripensato ha generato celebrazioni eucaristiche molto intense e dimostra che la Gmg non è una “formula magica” fissata per sempre, ma può essere modulata in ascolto dei giovani, come ci chiede di fare il Sinodo.
Quale sarà il cammino della pastorale giovanile nei prossimi mesi?
Questa Gmg ci ha offerto molte cose che ci portiamo a casa e sulle quali lavoreremo. Inoltre c’è il percorso del Sinodo, che non possiamo abbandonare. Il Convegno nazionale di aprile dovrà raccogliere tutto insieme e rilanciarlo. La Chiesa Italiana ha una tradizione di cura e di educazione nei confronti dei ragazzi: dobbiamo valorizzarla e quindi non possiamo fermarci a una pastorale giovanile di conservazione. Avere fede vuol dire credere che davanti a noi c’è la vita, c’è un futuro, accettando la possibilità del male da persone adulte. Questo vale anche per la pastorale: è dovere dei pastori e delle comunità cristiane non smettere di offrire una buona testimonianza cristiana. Nel 2022 ci sarà Lisbona: mancano tre anni e mezzo e non possiamo vivere questo tempo attendendo la Gmg con le mani in mano. Sarà un tempo prezioso per riflettere su quello che è accaduto e su quello che ci sta accadendo. C’è la possibilità di mettere delle tappe sul cammino, tenendo insieme l’idea del grande evento e il percorso della pastorale ordinaria.

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