sabato 2 febbraio 2013
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​«La tematica centrale è la necessità di una forte evangelizzazione del popolo emiliano romagnolo. È andato sempre più erodendosi quel tessuto di tradizione cristiana che, nonostante tutto, la gente possedeva. Una preoccupazione, questa, che riguarda soprattutto i nostri giovani e, ancor di più, le persone adulte, che hanno responsabilità». Così il cardinale Carlo Caffarra, presidente della Conferenza episcopale dell’Emilia Romagna, ha parlato dell’agenda di problemi che i vescovi della sua regione ecclesiastica tratteranno con il Papa, nella visita ad limina che si tiene in due momenti, oggi e lunedì. In un colloquio con l’agenzia di informazione religiosa Sir, l’arcivescovo di Bologna ha fatto presente che «in questi anni si è poi confermato un calo, sempre più preoccupante, delle vocazioni sacerdotali, anche se in alcune diocesi si notano piccoli segnali di ripresa». Il cardinale ha aggiunto però altro: «Il nostro popolo per decenni è stato amministrato da un soggetto che ha diffuso una mentalità fortemente secolarizzata. Tuttavia, la percezione e il senso di alcuni beni umani fondamentali, come il matrimonio e la famiglia, non sono mai venuti meno. Da un po’ di tempo, però, la percezione di questi valori si va oscurando: l’ideologia individualista sta pervadendo anche la coscienza morale del nostro popolo». Infine il dramma del terremoto, che se è svanito dai giornali è ancora ben presente nella coscienza collettiva: «Un fatto tragico, di fronte al quale la nostra gente ha rivelato il suo profondo coraggio di vivere, la voglia di non rassegnarsi mai, un forte senso di solidarietà».Tommaso Ghirelli, vescovo di Imola e segretario della Conferenza episcopale regionale, ricorda anche lui come la Chiesa emiliano-romagnola si sia «temprata» in un contesto culturale ostico, ma che ha cambiato di segno: «Ci portiamo dal passato un’eredità che si può misurare con la frequenza in Chiesa non molto alta. Quello che oggi prevale è la "dittatura del relativismo", che si è magari incontrata con epigoni dell’anticlericalismo repubblicano o marxista, ma è diventata altro. Per converso, c’è da notare che in alcuni centri in cui è stata aspra l’opposizione alla Chiesa, è cresciuta una comunità cristiana particolarmente vitale. Si può dire che molte parti dell’Emilia Romagna, avendo subito una secolarizzazione più precoce e vigorosa che altrove, hanno sviluppato in anticipo dei preziosi anticorpi». Per quanto riguarda il lavoro sulla fede, Ghirelli ricorda l’impegno della Conferenza episcopale regionale in merito all’iniziazione cristiana e un congresso che si è tenuto sul tema a Bologna, lo scorso giugno: «Da un lato la catechesi è una delle attività più consolidate e standardizzate delle parrocchie, dall’altro è un ambito in movimento: il convegno di Bologna ha permesso di rendersene conto e di parlare delle esperienze nuove che stanno nascendo. Cercando di andare oltre una catechesi legata esclusivamente ai sacramenti». Il presule fa anche presente un fenomeno che sembra in contrasto con la secolarizzazione circostante: «C’è un numero di adulti crescente nelle nostre diocesi che accede ai sacramenti dell’iniziazione cristiana e non è solo dovuto agli immigrati che non erano battezzati». Un aiuto in questo senso viene anche dai movimenti – «dai cursillos di cristianità nei decenni scorsi ai neocatecumenali, in anni più recenti, e altre realtà» – e da iniziative dal basso, «a livello parrocchiale, nate da o per i giovani, come l’evangelizzazione di strada». Infine, sul terreno dei problemi sociali, Ghirelli ci tiene a segnalare, insieme allo choc del sisma, la crisi economica, che fa sentire i suoi morsi anche su una delle zone più industrializzate del Paese, «in particolare per quanto riguarda l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro». «Dopo il terremoto – spiega il presule – è stata ricordata la proverbiale laboriosità degli emiliani. Anche per questo risulta sempre più stridente il contrasto tra un’indubbia capacità lavorativa della nostra gente e la percentuale in costante aumento di giovani che non lavorano e magari nemmeno studiano. In ogni caso l’accesso al lavoro avviene molto tardi e questo rallenta l’acquisizione di professionalità e il rapporto con un mondo che fa fatica ad aprirsi e investire sulle nuove generazioni».
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