mercoledì 18 settembre 2019
Don Michele Falabretti (Cei) raccoglie i frutti del cammino degli ultimi mesi e traccia la strada da percorrere: i ragazzi hanno bisogno di essere ascoltati e capiti nel loro modo di vedere la realtà
Pastorale giovanile, educatori e animatori al passo con i tempi
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In queste settimane sono molte le iniziative che nelle diocesi aprono il nuovo anno pastorale. Ad alcuni di questi appuntamenti mi capita di partecipare, perché questo è ancora il tempo dell’attuazione del Sinodo dei giovani: il tema ha lasciato un segno del cuore di tanti che vi hanno dedicato il cammino dei prossimi mesi. Il tempo dell’attuazione di una (lunga) riflessione sinodale è molto più silenzioso rispetto a ciò che è accaduto prima, quando tutto è avvenuto anche con l’eco su Web e siti. Ma non per questo va considerato un tempo meno importante. La questione giovanile, sempre più, arriva a interrogare l’intera comunità cristiana. Fino a pochissimo tempo fa, gli adulti si interrogavano a proposito della fatica di trasmettere la fede ai più giovani. Oggi appare chiaro che la testimonianza da rendere al Vangelo non è una faccenda che ha una sola direzione (dagli adulti ai giovani), ma sta investendo un po’ tutti. Il mondo giovanile, semmai, non fa che evidenziare il famoso "cambiamento d’epoca" con il quale sembra che si cominci a fare i conti seriamente soltanto ora. Non è un esercizio inutile provare a indicare alcuni snodi significativi per un buon cammino di attuazione delle istanze sinodali.

Alzare le competenze educative

Mille sforzi scomposti e improvvisati non ne valgono uno pensato e preparato. Non so se ci sia stato un tempo dove l’educazione potesse essere facile; sicuramente il passato era caratterizzato da un clima più omogeneo che facilitava l’azione educativa. Oggi la disponibilità potrebbe non essere più sufficiente. L’esempio più clamoroso sono gli oratori nei quali urge una presenza educativa che assicuri continuità e sostenga la formazione e l’azione di molti volontari. Se ne è parlato all’Happening degli oratori a Molfetta qualche giorno fa. Alzare le competenze significa cercare quella sapienza che si costruisce nel fare quotidiano: quella che nasce dalla pazienza dell’ascolto e si esprime nella disponibilità all’accompagnamento. Se i giovani non si sentono accolti e capiti, non si apriranno a nessuna forma di ascolto e coinvolgimento. Qualunque cosa vogliamo che arrivi alla loro intelligenza, deve prevedere un contesto di relazione e di confronto non solo con loro, ma anche con la cultura e le sensibilità del nostro tempo. Nelle quali, è bene ribadirlo, l’umanità di oggi vive e si esprime. E nella quale Dio continua ad abitare.

Nuovi modelli antropologici

L’annuncio del Vangelo è nel cuore della Chiesa e dei cristiani. Ma questo Vangelo non va impiantato dall’esterno come se Dio entrasse come uno scassinatore in ciò che gli appartiene da sempre. La Chiesa deve riconoscere che il Vangelo è all’opera nelle donne e negli uomini di questo tempo come in tutta la creazione. La sua presenza serve a renderlo vivo: i cristiani celebrano la presenza di Gesù per trovare forza e sapienza di annunciarlo. Questo significa che i nuovi modelli antropologici che i giovani portano in sé, non sono una cosa negativa solo per il fatto che siano diversi da quelli che li hanno preceduti. Lo scarto antropologico ha sempre fatto paura agli adulti, ma è un atteggiamento che bisogna avere il coraggio di superare. Le novità di cui sono portatori i giovani, sono vitali non solo per la loro esistenza, ma per quella di tutti.

Alla ricerca della comunità

Le cose più belle la Chiesa le ha sempre fatte in contesti di relazione. Dunque il tema non è quanto del passato (ormai deboli e scarne tracce) possa essere ricuperato e salvato. Ma come far sì che la comunità dei credenti rimanga aperta alla vita del mondo? Il Vangelo è un fatto di legami e questo chiede che ci sia una comunità di uomini e di donne che liberamente e per amore danno alla loro vita la forma del Vangelo. Si tende a considerare i cambiamenti come qualcosa di apocalittico. Ma, nella Bibbia, l’Apocalisse non è solo la fine di un mondo; è anche l’annuncio di cieli nuovi e terra nuova. Se vogliamo sperare che il fatto cristiano possa interessare ai giovani, glielo dobbiamo mostrare prima ancora di volerglielo spiegare. L’impegno per qualunque azione di pastorale giovanile, dunque, chiede di non escludere il coinvolgimento della comunità. È forse, delle tre «parole d’ordine» ricordate, la parte più difficile, ma anche quella a cui non possiamo rinunciare. Cercando di convertire quell’atteggiamento che tende ingenuamente a credere di poter educare i giovani separandoli dagli altri e creando contesti inutili alla loro vita quotidiana. Il Sinodo ci ha offerto una biblioteca di riflessioni. A giugno sono state pubblicate dal Servizio nazionale le Linee progettuali per poter tradurre i pensieri in azioni. A giorni, sul sito del Servizio nazionale per la pastorale giovanile saranno rese disponibili le schede di lavoro. Gli appigli per dire che non sappiamo cosa fare sono stati eliminati. A tutti un buon cammino e un fecondo anno pastorale.

* responsabile del Servizio nazionale per la pastorale giovanile

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