martedì 21 giugno 2022
Redaelli: non possono esserci profughi di serie A e di serie B. Da Zuppi l’invito a crescere e cambiare: la pandemia ci ha fatto conoscere anche povertà nuove
Da ieri Il Convegno nazionale delle Caritas diocesane

Da ieri Il Convegno nazionale delle Caritas diocesane - Avvenire

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Ci sono quasi sei milioni di persone con cui la Chiesa deve assolutamente dialogare. È la linea di papa Francesco e della Caritas italiana che nella giornata mondiale del rifugiato ha aperto il suo convegno nazionale sul tema “Camminare insieme sulla via degli ultimi”. I sei milioni sono i poveri. Solitamente, quando la Chiesa ne parla, viene accusata di fare politica, ma, come ha rivendicato ieri il cardinale arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, Matteo Zuppi, «se non difendiamo i poveri, cosa facciamo?». Eppoi, parlare con loro, ascoltarli, ha detto il presidente dell’organizzazione ecclesiale, monsignor Carlo Alberto Maria Redaelli, ha un valore teologico ed ecclesiologico, in quanto evita una «idealizzata, ma per altro non ben definita, comunità cristiana che si mette in ascolto di mondi esterni a se stessa. Non può essere così: una comunità cristiana senza la realtà dei poveri non è una comunità secondo il Vangelo. I poveri vanno ascoltati non come persone esterne, ma come fratelli e sorelle che con noi sono “sulla stessa barca” della vita».

Il 42° convegno nazionale (il primo in presenza dopo il lockdown) non ruota solo intorno ai poveri ma al rapporto con i poveri. Ne hanno parlato l’arcivescovo di Milano monsignor Mario Delpini, che ha spronato alla fiducia («queste impressionanti emergenze non sono motivo per scoraggiarsi») e il cardinale Zuppi. «Le ondate della pandemia ci hanno costretto a ripensare le nostre vecchie abitudini e ad accorgerci di situazioni nuove – ha spiegato il porporato – come le povertà di relazione, legate alla psiche, oppure ai drammi della vecchiaia, che ha pagato il prezzo più alto, e a quel fragilissimo equilibrio che sono i nostri sentimenti e che le ondate della pandemia hanno confuso. Ora dobbiamo evitare che si torni quelli di prima e che gli ultimi sono “nostri” e non “altri”". Il presidente della Cei ha spronato la Caritas a non essere mai una «agenzia esterna cui affidiamo la carità», ricordando che «non si serve il Vangelo se non si serve quell’altra grande Eucaristia che è il servizio ai poveri».

Il convegno ha inquadrato inoltre il tema degli ultimi nel Cammino sinodale. Monsignor Redaelli ha insistito sulla necessità di impegnarsi per tutti i profughi («non ci possono essere profughi di serie A e di serie B e le guerre sono tragiche e folli non solo quando sono vicine a noi») ma soprattutto ha ricordato che anche i poveri sono chiamati all’ascolto per arrivare a una «reale accoglienza reciproca, un darsi la mano per camminare insieme sulle strade della vita, una maturazione condivisa verso una società più giusta e libera. Certo perché tutto ciò sia possibile – ha aggiunto l’arcivescovo di Gorizia –, occorre sintonizzare i linguaggi, imparare a comprenderci a vicenda sia nel linguaggio verbale, sia in quello non verbale. So che diverse Caritas diocesane hanno tentato di avviare un approfondimento di questa comprensione reciproca» ha annunciato, ricordando l’impegno dell’organizzazione sui diversi fronti di crisi, Ucraina compresa.

Dopo Redaell ha parlato monsignor Valentino Bulgarelli, sottosegretario della Conferenza episcopale italiana, il quale ha fatto il punto proprio sul Cammino sinodale, che finora ha coinvolto 500mila persone. «Nelle 1600 pagine di sintesi non ci sono rivendicazioni: questo è il segno di un cammino bello che sta facendo la Chiesa, si legge la voglia di avere luoghi belli dove vivere il Vangelo ma non in modo personale e isolato. C’è ancora voglia di parrocchia - dato interessante - ma non come è in questo momento, perché molti fanno rilevare che è un luogo dove si debbono "portare avanti" delle cose, mentre si cerca un luogo in cui emerga la maturità delle relazioni».

Questo è il momento di recuperare la finalità della comunità cristiana, ha spiegato il sottosegretario Cei, aggiungendo che «la trasformazione del quotidiano impone di cercare nuovi strumenti. Ma se perdiamo di vista il fine e prevalgono gli strumenti non riusciamo più ad essere ciò che cerchiamo di essere». Un’esigenza così commentata da Zuppi: «non c’è nulla di peggio che tornare come prima. Dobbiamo cambiare, crescere, coinvolgere tanti. Non siate Marta ma Maria – ha detto l’arcivescovo di Bologna rivolto ai convegnisti –, che ascolta, e sceglie la parte migliore». Il convegno, con i suoi 539 delegati (direttori, operatori professionali, volontari) provenienti da 161 diocesi di tutta Italia, proseguirà fino a giovedì nei locali della nuova Fiera di Milano, a Rho.

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