giovedì 21 maggio 2020
Il domenicano Giuseppe Damigella spiega il senso più profondo della preghiera alla luce della Lettera di papa Francesco scritta per il mese di maggio
La recita del Rosario in questi giorni segnati dal coronavirus

La recita del Rosario in questi giorni segnati dal coronavirus - Ansa

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«Una piccola esortazione per riprendere in mano il Rosario di Maria e così riscoprire la bellezza intrinseca di una preghiera semplice e alla portata di tutti che racconta attraverso i suoi misteri dolorosi, gaudiosi e gloriosi in sintesi la vita di Gesù». E’ la prima impressione che affiora dalla mente del domenicano e oggi priore del convento di San Domenico a Catania il mariologo padre Giuseppe Damigella nel leggere e commentare il significato più profondo della lettera scritta il 25 aprile scorso da papa Francesco e inviata ai fedeli di tutto il mondo.

Si tratta di un testo in cui papa Francesco invita a riscoprire proprio nella recita quotidiana del Rosario per questo mese di maggio che sta per concludersi la via maestra per «contemplare insieme il volto di Cristo con il cuore di Maria». Il religioso che è stato, negli anni, docente di dogmatica presso l’Istituto teologico di Monreale e di mariologia alla Pontificia facoltà teologica di Sicilia si sofferma anche sull’alto significato che alla luce di questa pandemia il Covid-19 papa Francesco abbia indicato oltre alla strada tradizionale e molto battuta della recita del Rosario per «un mese tipicamente mariano come è quello di maggio» anche due sue preghiere «molto personali» rivolte alla Vergine.

«Mi ha impressionato soprattutto – è la rievocazione dello studioso – il dettaglio singolare di far pubblicare questo documento il 25 aprile, la festa liturgica di San Marco Evangelista che per la maggioranza degli italiani ricorda invece la ricorrenza della Liberazione. Una data, a mio giudizio, scelta non a caso perché è proprio a ridosso di un mese mariano per eccellenza come quello di maggio. Si intravede da subito leggendo questo testo lo stile semplice, immediato, quasi “lapidario” e molto francescano del nostro Pontefice. Tanti sono gli accenni indiretti, a mio giudizio alla Lettera apostolica del 2002 di san Giovanni Paolo II la Rosarium Virginis Mariae». Ma padre Damigella tra l’altro attento studioso e discepolo del suo confratello il Beato Angelico con cui condivide la passione per l’arte della pittura scorge altri dettagli particolari a questo riguardo.

Gli insegnamenti mariani di papa Francesco nel solco del Vaticano II

«Nella prima preghiera è evidente l’appellarsi di Francesco nella sua veste di Vescovo di Roma alla Madonna del Divino Amore dove Maria è descritta come “salute del popolo romano”. In questo testo sono tanti i richiami impliciti alla Costituzione dogmatica del Vaticano II, la Lumen Gentium. Un’invocazione quella di Francesco che proprio alla luce degli insegnamenti del Concilio cioè di una Chiesa in dialogo e non in lotta con il mondo ci fa scoprire una Vergine Maria che supera il tradizionale e un po’ oleografico “ritratto devozionale mariano” e grazie alla sua fede si è associata al dolore di Gesù che è “uomo dei dolori perché prende su di sé la sofferenza di tutta l’umanità”».

Un «piccolo documento e autentica sintesi orante e dottrinale del pensiero di papa Francesco» che a giudizio di padre Damigella custodisce al suo interno piccoli tesori da scoprire. «A sorprendermi nella seconda invocazione è stato il tratto più personale di papa Bergoglio. Ci sono i riferimenti alla pandemia attuale e alle tante categorie più colpite da questa calamità “in questa dura prova fisica”: gli ammalati, i medici, le persone morte a causa del Covid-19. Sullo sfondo di questa seconda orazione sono chiari i riferimenti a due antiche preghiere mariane il Sub tuum praesidium e il Salve Regina. Qui Francesco nel solco della grande tradizione orante mostra l’immagine di una Chiesa che invoca e chiede la Grazia della guarigione per tutto il suo popolo». Ma a colpire padre Damigella è la scelta di Francesco di affidarsi a un antico strumento di preghiera che è la recita della corona del Rosario che fa parte in fondo della pietà popolare italiana.

«Pensiamo a come nei momenti estremi, mi viene in mente la morte di un congiunto, non solo recitiamo questa preghiera ma spesso adagiamo spesso la corona tra le mani dei nostri defunti. Il Rosario è veramente come direbbe Joseph Ratzinger la “culla dell’anima”. – è la riflessione finale - Non è un caso che si tratti di una preghiera voluta dalla Madonna: basti pensare alle due più importanti apparizioni riconosciute dalla Chiesa Lourdes e Fatima dove la Vergine si mostra in un contesto orante con il Rosario. Un modo di pregare che accompagna le nostre esistenze da secoli nei momenti di maggiore disagio e di sofferenza e anche nel momento della morte. Il Rosario con la recita dei suoi misteri è nel suo profondo il paradigma della nostra vita fatta di gioia, di dolore e poi speriamo di gloria».

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