lunedì 22 giugno 2020
A un mese dal decreto della Segreteria di Stato che ha disposto l'allontanamento del fondatore Enzo Bianchi, la comunità manifesta la volontà di ripartire
Il monastero della Comunità di Bose in Piemonte

Il monastero della Comunità di Bose in Piemonte - Giorgio Boato

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«Il Divisore non ci ha risparmiato e noi non abbiamo saputo fronteggiarlo con sufficiente fede, speranza e carità». Un mese dopo la burrasca, con il decreto firmato dal segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, che ha disposto l’allontanamento da Bose del fondatore, Enzo Bianchi, assieme a due fratelli e a una sorella, la fraternità torna a interrogarsi pubblicamente sulla vicenda. Una lunga riflessione sull’accaduto, rivolta ai frequentatori e agli amici di Bose, in cui si ripercorrono le tappe della vicenda «che è causa di molte e profonde sofferenze», si chiede perdono «per lo scandalo che abbiamo suscitato e per la contro-testimonianza che abbiamo dato», e si manifesta la volontà di ricominciare «un cammino di conversione e di sequela del Signore».

Un segnale di svolta importante, quello diffuso domenica da Bose, che manifesta da un lato il desiderio di ripartire con tutte le attività già programmate e dall’altro l’obiettivo di raccontare a cuore aperto lo sviluppo di una storia di sofferenza in cui al momento non tutto è stato chiarito e non tutto è stato risolto. Comprese le destinazioni scelte da Enzo Bianchi e dagli membri della fraternità per fare attuazione alle disposizioni del decreto.

Ma, tra le righe del comunicato, emerge che l’accordo è ormai in via di attuazione e che comunque non si tratta del punto più importante. Ciò che davvero sta a cuore al priore Luciano Manicardi e a tutti i fratelli e le sorelle di Bose, è l’impegno di «leggere con gli occhi della fede questo evento della visita apostolica e delle sue conclusioni, rivelatosi da un lato necessario e, d’altro lato, fonte di sconcerto e di ulteriori sofferenze anche tra di noi».

Perché è accaduto tutto questo? «Crediamo che la risposta non la si possa trovare nell’attribuire colpe e responsabilità agli uni o agli altri, bensì nella lucida constatazione che “non siamo migliori” e che il Divisore non ci ha risparmiato e noi non abbiamo saputo fronteggiarlo con sufficiente fede, speranza e carità». Le conseguenze di questa situazione – si legge ancora nel documento che non intende edulcorare nulla – erano ben note a coloro che in questi anni hanno frequentato Bose e hanno fatto esperienza di come l’unità fosse «seriamente compromessa, vedendo la profonda sofferenza quotidiana, lo sconforto e la demotivazione suscitati in molti fratelli e sorelle».

Una crisi che ha radici lontane, si spiega ancora, e che già nel 2014 l’allora priore Enzo Bianchi, cercò di affrontare chiedendo aiuto a due esperti di vita monastica, Michel Van Parys, benedettino, e Anne-Emmanuelle Deveche, badessa trappista. Ma gli esiti non furono quelli sperati. «Si trattò di una visita fraterna che poteva dare consigli e suggerimenti, ma senza potere di intervento reale. Alcune criticità erano emerse, ma queste – prosegue il comunicato – non avevano impedito il percorso culminato con le dimissioni di fratel Enzo, da lui stesso annunciate da tempo, e l’elezione di fratel Luciano».

Da qui la necessità di una nuova verifica per discernere «le cause profonde di un grave malessere relativo “all’esercizio dell’autorità, la gestione del governo e il clima fraterno” a Bose». La visita apostolica dello scorso dicembre, accolta come segno di vicinanza da parte di papa Francesco, è culminata com’è noto nel decreto della segreteria di Stato a cui ora il delegato pontificio, padre Amedeo Cencini, deve dare attuazione. Come più volte spiegato, nessuno è stato espulso né cacciato. E le disposizioni nei confronti di Bianchi e degli altri fratelli «non riguardano assolutamente questioni di ortodossia dottrinale: non vi è per loro nessun divieto di esercitare il ministero monastico di ascolto, di accompagnamento, di predicazione, di studio, di insegnamento, di pubblicazione, di ricerca biblica, teologica, patristica, spirituale».

Ma si tratta di un cammino per garantire la permanenza e lo sviluppo del carisma di Bose «con espliciti e reiterati riferimenti alle nostre peculiarità più preziose: la scelta della vita monastica nel celibato e nella vita comune, la presenza di fratelli e sorelle in un’unica comunità, la composizione ecumenica dei suoi membri e il suo prodigarsi nel movimento ecumenico».

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