sabato 18 ottobre 2014
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Un’intuizione profetica che parte dal Concilio e arriva ai profughi di Lampedusa e a quelli di Erbil, passando per il quotidiano impegno a favore di vecchie e nuove povertà. Nel 1971 papa Montini sollecitò la nascita di un nuovo strumento pastorale, la Caritas italiana. Il presidente della Cei, il cardinale arcivescovo di Bologna Antonio Poma, incaricò una commissione presieduta da don Giovanni Nervo di iniziare il lungo cammino di avvio. In un’intervista Nervo, scomparso nel 2013, ricordava questo colloquio con il Paolo VI nel 1971: «Ci disse che era per lui inconcepibile che il popolo di Dio crescesse secondo lo spirito del Concilio se tutti i membri della comunità cristiana non si fossero fatti carico dei bisogni e delle necessità degli altri. Fino ad allora in Italia c’era stato per oltre trent’anni un grande organismo caritativo e assistenziale, erogatore di beni e servizi, la Pontificia opera assistenza (Poa), dipendente dalla Santa sede, che riceveva gli aiuti dai cattolici americani ed era lo strumento della carità del Papa per la Chiesa italiana. Nel periodo della guerra e del dopoguerra fu provvidenziale. Cambiata in Italia la situazione, Paolo VI nel 1970 la sciolse e sollecitò la Cei a darsi un proprio organismo pastorale per promuovere e coordinare l’attività caritativa. Così nacque la Caritas».Accanto a sé don Nervo volle un sacerdote padovano, don Giuseppe Pasini, proveniente dalle Acli. «Nel 1971 – racconta Pasini – mi chiese di entrare nel nuovo organismo come responsabile del settore "Studi, formazione, animazione". Nel 1972 entrai in servizio alla Caritas e vi rimasi per 24 anni».Paolo VI aveva chiesto alla commissione di redigere uno statuto provvisorio. «Per dirla con i termini del Concilio –spiega l’attuale presidente della Fondazione Zancan di Padova – voleva una carità impegnata a promuovere la giustizia e a liberare i poveri dalla dipendenza altrui. Un’impresa storica perché la cultura della carità non era, e in parte ancora non è, su queste linee. Andava sostituito l’assistenzialismo con la promozione umana e l’obiettivo era diffondere la Caritas in tutte le diocesi e le parrocchie che dovevano diventare soggetti di carità evangelica attuandola secondo lo spirito conciliare, aperta a tutti ma con un’opzione preferenziale per i poveri. Perciò Montini insisteva tanto sul ruolo prevalentemente pedagogico della Caritas».In 20 anni la Caritas era istituita praticamente in ogni diocesi. Furono le emergenze a stimolarne l’espansione, conferma Pasini, che divenne direttore nel 1986 fino al 1996: «Penso ai terremoti del Friuli, della Basilicata e Campania e dell’Umbria. Grazie ai gemellaggi interdiocesani la Caritas si è dotata di una struttura agile ed efficace».L’intuizione montiniana è stata ricordata nei giorni scorsi dalle sedute della Presidenza e del Consiglio nazionale della Caritas italiana guidata dall’amministratore apostolico di Lodi Giuseppe Merisi. «Ho ancora negli occhi l’incontro del novembre 2011 con papa Benedetto per i 40 anni – afferma Merisi – dove simbolicamente si è vista la portata dell’intuizione profetica di Montini, aiutata dal moltiplicarsi delle "opere segno" sui territori a favore degli ultimi. E ha attuato lo statuto che il Papa del Concilio sollecitò alla Cei che le affidava il coordinamento delle attività caritative di ispirazione cristiana. Oggi la Caritas italiana è quotidianamente vicina alle vecchie e alle nuove povertà e non solo nei confini nazionali. Inoltre il volontariato sui territori e l’impegno quotidiano, accanto alla formazione hanno contribuito ad accrescere la cultura della carità e la considerazione della società civile». Oggi quell’intuizione del Papa è diventata per la Chiesa e la società italiana un patrimonio di valore inestimabile.
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