venerdì 17 ottobre 2014
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La Messa di Mezzanotte del Natale 1968 che Paolo VI volle celebrare negli stabilimenti dell’Italsider a Taranto è un «emblema». «L’emblema del suo stile e del suo magistero sul lavoro», spiega l’arcivescovo di Campobasso-Bojano, GianCarlo Maria Bregantini, presidente della Commissione episcopale Cei per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace. Il viaggio nella capitale dell’acciaio fu la prima visita di un Pontefice all’interno di un grande complesso industriale. «Vederlo lì con il famoso caschetto sulla testa – prosegue Bregantini – è stato come affermare che quanto i preti operai avevano intuito nella Francia della fine degli anni ’40 doveva entrare nella prassi pastorale: ossia che, sulla questione del lavoro, c’era bisogno di una Chiesa in uscita, si direbbe con papa Francesco. E, con la sua straordinaria capacità di leggere i segni dei tempi, Montini ci ha lasciato un’eredità che è oggi pietra miliare della Dottrina sociale».Paolo VI ricordava che il cristianesimo ha conferito dignità al lavoro e che «la Chiesa ama e difende il mondo del lavoro». «Nell’era della globalizzazione queste parole sono una grazia – sostiene l’arcivescovo –. Oggi è facile cadere nella rassegnazione. Invece serve combattere questa logica che ci rinchiude in un labirinto, ha detto Francesco qui in Molise. Ecco, occorre lottare: contro la disoccupazione o l’affarismo. E il verbo "lottare" è magnifico: ma non va inteso secondo un approccio marxista, bensì scrutando la forza di Cristo che ha portato avanti la bandiera di tutti i lavoratori. È il Signore stesso che ci propone il modello di un lavoro che plasma l’uomo e non lo schiavizza, che lo edifica e non lo sfrutta».Eppure Paolo VI sosteneva nella Populorum progressio che un lavoro sempre «più scientifico e meglio organizzato» rischia di «disumanizzare il suo esecutore». «Adesso – chiarisce Bregantini – il lavoro è ben più tecnicizzato e, rispetto agli anni di Paolo VI, non ha quella disumanità che aveva ad esempio la catena di montaggio. Ma si presentano altre schiavitù». Quali? «La maggiore – risponde l’arcivescovo – è la precarietà, soprattutto per i giovani. Poi c’è il lavoro minorile che è una piaga in ampie aree del mondo. Infine cito le delocalizzazioni che avvengono nel segno del fiuto dell’interesse. Penso alla nuova Fiat Chrysler Automobilies: è spaventoso che un’impresa nata in Italia, aiutata per oltre centoventi anni dalla Stato e fatta crescere grazie dall’impegno di tanti operai, abbia un pezzo in Olanda, uno in Inghilterra e sfidi la Borsa a New York. Sono operazioni che tolgono a chi lavora il sapore del proprio sforzo. A ciò si aggiungono la scuola che non forma in maniera adeguata alle professioni e la famiglia che non prepara al lavoro».Bregantini è stato in fabbrica, prima di essere ordinato sacerdote. E ha vissuto accanto ai preti operai. «Paolo VI, forgiato dallo studio di Jacques Maritain, ha portato la Chiesa a guardare ad ampio raggio al pianeta lavoro. Da qui la sfida di interpretare le domande nuove e a tratti taglienti che questo ambito pone. Del resto numerose pagine della Gaudium et spes sono frutto di questa sua attenzione che è penetrata anche nel Concilio». Poi l’arcivescovo cita il discorso di Montini a Nazareth nella visita del 1964. «Paolo VI ha presentato questo luogo come scuola del silenzio, della famiglia e del lavoro. È dalla Terra Santa che ci ha indicato la legge severa ma redentrice della fatica umana». E Bregantini parla di una «spiritualità» di Montini connessa al lavoro. «A chi è in un’azienda o svolge una professione il prossimo beato dice che Cristo è già dentro il tuo sudore quotidiano, la tua opera creatrice, le tue lotte politiche e sindacali».Giustizia sociale, autentico progresso, dovere alla solidarietà sono vocaboli che ricorrono in Paolo VI. «Questa economia uccide, scrive papa Bergoglio nell’Evangelii gaudium. Un monito che era stato preannunciato con espressioni meno energiche ma altrettanto profonde da Montini. Paolo VI è stato un profeta, un anticipatore di temi che Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco hanno, poi, sviluppato».
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