sabato 8 settembre 2018
Il presidente della Cei racconta l’«amico» martire. «Un santo sociale che ha combattuto povertà e ignoranza». La “vita buona” «è legalità e apertura dell’altro, incluso il migrante»
Il cardinale Gualtiero Bassetti in visita alla casa-museo di padre Puglisi nel settembre 2017

Il cardinale Gualtiero Bassetti in visita alla casa-museo di padre Puglisi nel settembre 2017

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Era a Palermo il 15 settembre dello scorso anno, nell’anniversario dell’assassinio di padre Pino Puglisi. A pochi mesi dalla sua nomina a presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti aveva scelto di rendere omaggio al “prete di strada” beato. «Sono entrato commosso nella sua casa a Brancaccio di fronte alla quale è stato ucciso da Cosa Nostra – spiega ad Avvenire l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve –. Oggi è un museo che ci racconta il primo martire di mafia che la Chiesa ha elevato all’onore degli altari. Ecco, fra quelle quattro stanze povere in cui ha trascorso gran parte della sua vita e anche i tre anni da parroco nel suo rione d’origine, ho come toccato con mano la sua profezia. Una profezia concreta, segnata dal Vangelo che si fa vita, che entra fra le ferite della storia e di un agglomerato difficile com’è Brancaccio, che scuote le coscienze, che vince l’indifferenza e l’apatia, che alimentata dalla Parola e dall’Eucaristia contribuisce al riscatto dell’uomo in ogni sua dimensione: da quella spirituale a quella materiale, da quella affettiva a quella civica».

Il presidente della Cei ha conosciuto di persona il prete che ha fatto tremare la mafia. «Don Puglisi mi è un volto familiare. L’ho incontrato più volte fra gli anni Settanta e Ottanta. Ero rettore del Seminario di Firenze e anche responsabile del Centro regionale per le vocazioni in Toscana. Anche don Pino era impegnato in Seminario e nel Centro vocazioni. Ci vedevamo agli appuntamenti nazionali. Ne ricordo il sorriso, lo sguardo, la dedizione totale al Signore che si traduceva soprattutto nella vicinanza e nell’attenzione ai giovani». I giovani, un tema caro a Bassetti. «Una sua frase indirizzata agli universitari della Fuci mi ha sempre colpito: “Il mondo si salva partendo dai ragazzi”. Perciò i ragazzi non possono essere ingannati con falsi richiami o con lusinghe meschine di potere, successo o soldi, come fanno le organizzazioni criminali. Don Pino ne era ben cosciente e si è speso fino a versare il suo sangue per aprire gli occhi della sua comunità, di ogni uomo e donna della nostra Italia di fronte alle seduzioni perverse delle mafie e della corruzione».

Quindi il richiamo alla Gaudete et exsultate, l’enciclica di Bergoglio sulla santità: «Papa Francesco ci ricorda “quanta gente è stata perseguitata semplicemente per aver lottato per la giustizia“ e spiega che “vivere le Beatitudini può essere addirittura una cosa malvista, sospetta”. È quanto accaduto a don Puglisi che ha battuto le vie della cultura e della tenerezza contro la malavita». Quindi il cardinale aggiunge: «Padre Pino è stato davvero un grande educatore. Ha formato le persone, a cominciare dai piccoli, al Vangelo di Cristo nella terra della mafia. Ecco perché sul suo esempio siamo chiamati a impegnarci nell’educare alla “vita buona” che è legalità, rispetto della convivenza civile, apertura dell’altro, compreso il migrante o il profugo che arriva nei nostri porti».

Fra meno di una settimana, sabato 15 settembre, sarà papa Bergoglio a giungere a Palermo nel giorno del 25° anniversario del martirio. «Con le sue visite in Italia Francesco sta disegnando una geografia di “Chiesa accanto al popolo” recandosi nei luoghi di preti e pastori che si sono spesi con tutto loro stessi per la gente, seppur con stili e sensibilità diverse. Penso a don Primo Mazzolari, don Lorenzo Milani, don Zeno Saltini, il vescovo Tonino Bello. Modelli di servizio ma con uno sguardo che andava oltre, che era capace di leggere in anticipo i segni dei tempi e tradurli in una pastorale “rivoluzionaria”. Accanto a loro c’è padre Puglisi. Lo definirei uno dei “santi sociali” che ha illuminato il nostro Paese e ha testimoniato che non ci può essere alcun legame fra il Signore e chi fa della prepotenza, della sopraffazione, della violenza la sua ragione d’essere. Fra la mafia e il Vangelo non può esserci connivenza, contatto, “inchino”. Chi vive nelle organizzazioni criminali è fuori dalla comunione ecclesiale anche se si ammanta di religiosità».

Il cardinale ricorda il magistero degli ultimi Pontefici. «Proprio 25 anni fa, dalla Sicilia, san Giovanni Paolo II gridò a gran voce ai mafiosi: “Convertitevi”. Benedetto XVI ha ribadito a Palermo che la mafia è “incompatibile” con il Vangelo. E Francesco in Calabria ha affermato con vigore che “i mafiosi sono scomunicati”. Chi è un discepolo di Cristo, chi è figlio della luce è tenuto a denunciare le tenebre, quindi le organizzazioni criminali. Denunciarle con le parole, ma anche con i gesti quotidiani e con un impegno costante che parta dal basso, come ci insegna padre Puglisi». E subito Bassetti chiarisce: «Don Pino è stato davvero un padre per tantissima gente: dai ragazzi che salvava dalla strada, ai parrocchiani di cui è stato una guida salda, dai seminaristi a cui ha fatto scoprire la bellezza del sacerdozio, a chi ha voluto allontanare dai tentacoli della mafia. Per questo come Chiesa siamo chiamati a contrastare con la forza del Vangelo la criminalità organizzata che è presente in varie aree del Paese. Sono zone che non appartengono soltanto al Mezzogiorno ma anche al Centro e al Nord Italia dove le cosche si insinuano nel tessuto sociale, economico e politico».

Il tono del presidente della Cei si fa deciso. «La mafia è morte – avverte Bassetti –. E alimenta la sua cultura di morte in molteplici modi: continuando a uccidere, ricorrendo alla paura e alle intimidazioni, infiltrandosi nelle istituzioni, alterando l’economia con corruzione e malaffare, alimentando i commerci di sostanze stupefacenti e armi. Certo, le organizzazioni criminali sfruttano talvolta le carenze sociali e così trovano un terreno fertile per realizzare i loro deplorevoli progetti. Pertanto tutti, a cominciare dallo Stato ma anche noi comunità cristiana, dobbiamo combattere la povertà e l’ignoranza su cui la malavita può attecchire. Don Puglisi lo aveva intuito con lungimiranza. E nella sua Brancaccio, anticipando quella opzione per gli ultimi su cui insiste Francesco, aveva voluto scuole, centri di aggregazione, campi sportivi. E oggi va in quella direzione il progetto dell’asilo nido sognato da don Pino che intende essere un segno tangibile per celebrare i 25 anni della sua uccisione e mostrare come il sangue dei martiri continui a portare frutto».


COME CONTRIBUIRE AL NUOVO ASILO DEDICATO A PADRE PUGLISI

Un gesto concreto di solidarietà per celebrare il 25° anniversario del martirio del beato Pino Puglisi, il prete siciliano ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993 di fronte alla sua casa di Palermo. Il Centro di Accoglienza Padre Nostro, voluto dallo stesso padre Puglisi nel capoluogo siciliano, e la Fondazione Giovanni Paolo II, insieme con l’arcidiocesi di Palermo, il Comune di Palermo e Avvenire intendono realizzare l’ultimo sogno del sacerdote “profeta” per il suo quartiere Brancaccio a Palermo: la costruzione del nuovo asilo nido. Posiamo insieme la prima pietra.

È possibile contribuire al “sogno” di padre Pino Puglisi attraverso:
- bonifico bancario intestato a Fondazione Giovanni Paolo II utilizzando il seguente IBAN IT84U0503403259000000160407 (va inserito anche l’indirizzo di chi versa nel campo causale);
- bollettino sul conto corrente postale n. 95695854 intestato a Fondazione Giovanni Paolo II, via Roma, 3 - 52015 Pratovecchio Stia (AR). Causale: “Asilo Don Puglisi”;
- carta di credito o PayPal sul sito www.ipiccolidi3p.it.
Partecipa al progetto con la tua parrocchia o associazione, con i tuoi familiari o amici. Facendo una donazione si avrà diritto alle agevolazioni fiscali previste dalla legge. I dati saranno trattati ai sensi dell’art.13, regolamento europeo 679/2016 (c.d. “GDPR”).





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