mercoledì 12 maggio 2021
L'imam: siamo invitati a volgere lo sguardo in Alto alla ricerca di una comunicazione che è sempre sia immanente che trascendente con il Signore dei mondi, il Creatore della terra
L'imam Yahya Pallavicini (in primo piano)

L'imam Yahya Pallavicini (in primo piano) - Boato

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Una tradizione islamica invita i musulmani a cercare in queste settimane la Notte del Destino tra le notti dispari dell'ultima decade del mese di Ramadan.

Scoprire, alla luce di questa Notte speciale, una sensibilità per riconoscere le presenze angeliche e la discesa dello Spirito della Rivelazione nel cuore della profezia. Alcuni maestri e commentatori del Corano accostano la Notte del Destino al Natale per i cristiani. In effetti, molti simboli sono simili: la notte, le stelle, la luna, la luce, la discesa, gli angeli, la teofania, la visione spirituale e il riconoscimento sacrale. Eppure, la prova del credente musulmano sembra simile a quella del proverbio cinese: «quando il saggio indica la luna lo stolto guarda il dito». Si tratta di una prova di fede e di contemplazione.

Abbiamo fede nella luna o nella Luce, contempliamo i simboli o il Simboleggiato?

Certo, per evitare astrazioni e stravaganze nella dottrina della fede occorre rispettare i segni, passare dai simboli per elevare l'anima alla comunicazione con la realtà superiore di Dio. Abramo, in un passo del Corano, ci insegna: «Così mostrammo ad Abramo il regno dei cieli e della terra perché fosse di quelli che credono fermamente. Quando la notte lo avvolse, vide una stella e disse: "Ecco il mio Signore", ma quando tramontò disse: "Non amo ciò che tramonta". Quando vide apparire la luna, disse: "Ecco il mio Signore", ma quando tramontò disse: "Se il mio Signore non mi guiderà, anch' io sarò del popolo degli smarriti". Quando vide il sole che sorgeva disse: "Ecco il mio Signore. Questo è il più grande". Ma quando anch' esso tramontò, disse: "Popolo mio, del vostro politeismo io non ho colpa, io volgo il volto verso Colui che creò i cieli e la terra, riscoprendo la mia inclinazione alla fede pura, io non sono un idolatra" (Corano, VI: 75-79)».

Dunque, la fede e la contemplazione devono riconoscere la proprietà dei segni e dei simboli ma non confondere «ciò che tramonta » con il Signore del monoteismo. Abramo ritrova la luce della fede originaria nella purezza della sua adorazione proprio come la nascita di Gesù è illuminata dalla luce di una stella a Oriente e lui stesso rappresenta, secondo il Corano, l'evidenza di un segno dello Spirito.

Allo stesso modo, i musulmani cercano in queste notti di Ramadan la vicinanza dello Spirito e delle presenze angeliche nella loro discesa per la Pace dei digiunatori. I maestri insegnano che si tratta di non essere idolatri, né visionari, né scettici, ma aprirsi al riconoscimento della grazia, delle benedizioni che, pur essendo invisibili, diventano accessibili come sostegno alle responsabilità, conforto per l'anima e illuminazione dei cuori.

In questi tempi frenetici e di emergenza pandemica, l'invito è quello di volgere lo sguardo in Alto e ricercare una comunicazione che è sempre sia immanente che trascendente con il Signore dei mondi, il Creatore della terra e dei cieli, Colui che dà la vita prima ancora che questa esistenza assuma una forma fisica e un tempo determinato. Volgere lo sguardo all'infinito e all'eterno come insegnano i padri del deserto e i santi degli ordini contemplativi cristiani e musulmani. Leggere la Rivelazione e far risuonare la Parola di Dio.

Questo è lo spirito di una raccolta di perle di saggezza di maestri musulmani intitolato "Contemplare Allah" che ho avuto l'onore di pubblicare recentemente (edizioni Mimesis). Anche la scoperta del patrimonio sapienziale di intellettualità e filosofia islamica può rendere la fratellanza tra credenti più consapevole delle rispettive grammatiche e scoprire, insieme all'azione di solidarietà e sviluppo l'anelito, il gusto e le regole per il servizio e il ricordo di Dio.

Yahya Pallavicini, imam, è presidente del Coreis (Comunità Religiosa Islamica Italiana)


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