sabato 13 ottobre 2018
La perdita del liquido amniotico, i medici che parlano di aborto, la scelta della preghiera. La storia del miracolo ottenuto da Montini, iniziata con l'acquisto di una culla...
Amanda Tagliaferro bacia l'immagine di Paolo Vi

Amanda Tagliaferro bacia l'immagine di Paolo Vi

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«Tutto è iniziato dal giorno in cui ho acquistato su internet una culla usata. Ero incinta di due mesi, ne ho trovata una in vimini e pizzo... Quella culla ha cambiato il corso della storia, oltre alle nostre vite». Vanna Pironato Tagliaferro, 40 anni, infermiera all’ospedale di Legnago, ci accoglie nella cucina di casa, in mezzo alla piatta campagna veneta. Inutile cercare i segni del miracolo, eppure è lì che il mistero ha scelto di abitare, nell’umiltà spensierata di una famiglia come tante, che di preghiera e di santi sapeva ben poco. Fino a quando meno di quattro anni fa è venuta al mondo Amanda, la bimba che ha reso santo papa Paolo VI.

Amanda, “colei che va amata”, un nome scelto da Vanna e suo marito Alberto fin dal primo giorno, ancora ignari dello tsunami che si sarebbe abbattuto sui loro destini. «Mi recai a prendere la culla dai proprietari – riprende Vanna – e la signora mi fece notare che era ancora nuova. Aggiunse infatti che Giorgia, la sua bambina, non ci aveva mai dormito: era morta a tre mesi perché nata con una grave malformazione. Andai nel panico e in quell’istante decisi di fare subito la villocentesi».

È il secondo atto di questa vicenda, un concatenarsi di “coincidenze” che una volta arrivati alla fine andrebbe riletta a ritroso. Perché proprio quel test causa la rottura delle membrane e la totale fuoriuscita del liquido amniotico, la bolla d’acqua in cui il feto si forma e vive. «Non è stata colpa di nessuno – sottolinea l’infermiera – si sa che le indagini prenatali danno un 1% di aborti. Fatto sta che il 23 settembre 2014 mi sentii dire dai medici: signora, questo è un aborto certo, non ci sono speranze. Abbiamo consultato i massimi esperti, dal Gemelli di Roma al San Gerardo di Monza, ma tutti ribadivano il verdetto».

Nel ventre di sua madre Amanda boccheggiava all’asciutto nella sua sacca ridotta a un “sotto vuoto spinto”. Il corpo di Vanna riproduceva di continuo il liquido amniotico, «ma la membrana era rotta, era inutile. Io perdevo sangue e liquido, ero costantemente in travaglio». Tutta colpa di quella culla, senza la quale non ci sarebbe stata villocentesi e tutto sarebbe andato liscio. Forse... «La maledissi e maledissi me, poi mi affidai anima e corpo alla scienza, ma gli specialisti appena mettevano l’ecografo sulla pancia gettavano la spugna».

Il problema era che, contro ogni aspettativa, il cuore di Amanda non si fermava, quell’aborto spontaneo dato per certo non avveniva mai, bisognava decidere se procedere con l’aborto “terapeutico”. «Di giorno mi sentivo forte – ricorda Vanna – ma la notte era dura, ci ho pensato, eccome se ci ho pensato a farlo». Le ecografie mostravano una Amanda schiacciata e piegata in due, «un piccolo ammasso senza spazio per formare gli organi», lo scheletro si sarebbe consolidato così, con quella forma assurda, e dei polmoni non si sarebbe formata nemmeno una cellula. Ma Alberto sorreggeva la moglie: «Se Amanda non molla non possiamo mollare noi».

È una storia disperata, che attraverso un’infermiera arriva presto alle orecchie del dottor Paolo Martinelli, 47 anni, ginecologo all’ospedale di Legnago, il protagonista del terzo atto. La sera prima aveva letto in un articolo che Paolo VI era stato appena beatificato per aver guarito un feto negli Stati Uniti: «Mi aveva sempre colpito il silenzio attorno a un Papa grande come Montini – racconta il medico – così avevo approfondito la sua enciclica Humanae vitae, un testo fondamentale, che tocca i temi legati alla mia professione. Non è mia consuetudine consigliare ai pazienti di pregare – sorride – ma ero colpito dalla coincidenza e la buttai lì: “Di’ a quella mamma che preghi Paolo VI”. Non la conoscevo e non ne seppi più nulla».

Paolo VI chi?, reagisce però Vanna, che non ne ha mai sentito parlare. «Sono nata l’anno in cui è morto», si scusa oggi, ma da quel giorno lo ha pregato a ogni ora insieme a suo marito e a Riccardo, allora 3 anni, il loro primo figlio. Il 29 ottobre 2014 dopo l’ennesima tragica visita medica si recano a Brescia a Santa Maria delle Grazie, dove Montini ha detto la sua prima Messa, e sulla panca trovano un foglio con la supplica da rivolgergli. «C’erano tre puntini al posto del nome per cui chiedere la grazia e quei tre puntini divennero Amanda per tutti gli amici e i parenti, anche le infermiere hanno supplicato incessantemente Paolo VI».

Arriva la notte di Natale del 2014 e alle 3 i dolori sono insopportabili, Amanda è di sei mesi ma ha iniziato la sua discesa nel mondo esterno. «Siamo corsi all’ospedale di Verona, senza saperlo avevo già fatto ore di travaglio». Amanda era pure podalica, è rimasta venti minuti con le gambine di fuori, a rischio asfissia. «Non volli mio marito in sala parto a veder nascere una figlia morta. Alle 6.59 è uscita, senza un vagito. Sentii chiedere a mio marito il nome della bambina e pensai fosse per il certificato di morte. Invece pesava 865 grammi ma era viva».

Inspiegabilmente gli organi erano formati, lo scheletro era diritto e perfetto, tre mesi di incubatrice e Amanda non ha più visto un ospedale. I genitori in cuore loro hanno sempre saputo che era stato un miracolo di Paolo VI e hanno battezzato la piccola Amanda Maria Paola, ma tutto sarebbe rimasto nel silenzio se per il primo compleanno della piccola non avessero ufficialmente ringraziato papa Montini in un articolo di giornale: «Dalla Curia di Brescia ci contattò don Antonio Lanzoni, vicepostulatore della causa, guarda caso l’autore della preghiera trovata sulla panca e recitata mille volte...».

Nelle 990 pagine di cartelle cliniche che sono seguite, la scienza non ha potuto fare altro che inchinarsi al mistero. «I teologi hanno strettamente correlato la nascita di Amanda all’Humanae vitae – sorride Vanna –, per cui abbiamo impostato la nostra vita coniugale sull’enciclica, l’abbiamo letta insieme e la applichiamo ogni giorno».

Era ormai il 18 aprile 2016 quando la caposala disse al dottor Martinelli che una signora voleva parlargli. «Conobbi così Vanna, mi disse che avevano fatto ciò che avevo consigliato e che, grazie a tutto questo, Paolo VI sarebbe diventato santo. Ero stato lo strumento inconsapevole di una fila di “coincidenze”». Una bella foto scattata lo scorso maggio ritrae Amanda di spalle, con con i suoi boccoli bruni, mentre dà un bacio alla gigantografia di Paolo VI all’ingresso della sua casa natale a Concesio, il giorno in cui è stata annunciata la canonizzazione: è l’immagine di copertina di Una culla per Amanda, il libro intervista che Andrea Zambrano le ha dedicato (ed. Ares).

Atto finale. Dopo questa intervista, Vanna ha deciso di tornare dai proprietari della culla e raccontare loro la vicenda. «Erano senza parole dalla gioia. La loro Giorgia, vissuta solo tre mesi, è la prima protagonista del grande mistero». E la famosa culla che fine ha fatto? «Appena rotta la membrana non l’ho più voluta vedere, l’ho portata al Cav di Legnago», ammette Vanna. «Pensare che è tutto merito suo. Da qualche parte, in qualche casa, è ancora in giro ad agire tra gli uomini...».

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